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L’altra faccia dello Yen

Immagine del redattore: Omar JouadOmar Jouad

La questione uigura, già trattata in un recente articolo, è ritornata sotto le luci della ribalta internazionale a seguito del boicottaggio della Cina nei confronti del colosso svedese del mondo dell’abbigliamento H&M. L’azienda aveva espresso l’intenzione di non acquistare più il cotone proveniente dalla regione cinese dello Xinjiang, preoccupata delle condizioni di lavoro forzato e di discriminazione cui sarebbero sottoposti gli Uiguri nei cosiddetti centri di rieducazione. La posizione dell’azienda si allinea a quella di Nike e di altri grandi marchi della moda che avevano espresso le stesse preoccupazioni due anni fa (Burberry, Adidas e New Balance). La risposta del governo cinese è stata un monito per chiunque volesse interferire nelle questioni interne alla Repubblica Popolare: attraverso media e televisioni il governo cinese ha invitato la popolazione a boicottare i prodotti del marchio svedese, che si è anche visto sparire i propri prodotti da tutte le piattaforme di e-commerce cinesi.


Il caso H&M segue di pochi giorni gli incontri di Anchorage del 18 e 19 marzo, durante i quali la delegazione statunitense (capeggiata dal segretario di Stato americano Antony Blinken e dal consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan) ha esortato i funzionari di alto rango dell’amministrazione cinese presenti a risolvere le loro questioni interne relative allo Xinjiang, oltre che a Hong Kong e Taiwan. La risposta dei rappresentanti cinesi in quell’occasione non ha certo rispecchiato un atteggiamento sottomesso: Yang Jiechi ha infatti accusato la costante intromissione statunitense negli affari interni altrui, invitando i funzionari USA a guardare piuttosto ai propri problemi interni di razzismo, riferendosi all’emblematico caso “Black lives matter”. Egli ha anche screditato il modello democratico statunitense, che Pechino sostiene sia ritenuto poco credibile anche all’interno degli Stati Uniti stessi.

Il clima della riunione di Anchorage era già teso alla luce delle sanzioni economiche inflitte a ventiquattro diplomatici cinesi da parte di USA, Canada e Unione Europea per essere ritenuti responsabili delle violazioni di diritti umani della popolazione di Hong Kong e quella uigura, a cui Pechino ha risposto sanzionando a sua volta quattro fondazioni europee, il Comitato politico di sicurezza, cinque europarlamentari e altre cinque personalità europee.


Ora, non avendo prove inequivocabili sulla situazione uigura nello Xinjiang e considerando i vari conflitti d’interesse in gioco, risulta difficile schierarsi apertamente a favore delle tesi sostenute dagli Stati Uniti piuttosto che delle giustificazioni fornite dai portavoce cinesi (che parlano di una “rieducazione attraverso il lavoro” della minoranza islamiche sunnita presenti nella regione, ritenuta una minaccia terroristica). La regione, infatti, rappresenta un crocevia fondamentale nelle strategie economiche della Nuova via della seta, poiché è attraversata da tre importanti corridoi economici che permetterebbero alla Cina di connettersi in modo più agevole al porto del Pireo, al Mare Arabico e ai mercati dell’Europa settentrionale. In particolare, con riferimento al corridoio che collegherebbe la Cina con il Mare Arabico, la Repubblica Popolare Cinese ritiene che questo passaggio possa ridurre la dipendenza dei suoi traffici commerciali dallo stretto di Malacca, collo di bottiglia potenzialmente soggetto a embargo da parte degli Stati Uniti. La presenza di terroristi in questa regione, dunque, rovinerebbe le possibilità di sviluppo del corridoio. Questo spiegherebbe l’interesse della Cina alla stabilizzazione della regione dello Xinjiang.


Guardando la situazione dall’altro lato del Pacifico, la regione potrebbe essere sfruttata dagli Stati Uniti per attuare una delle proprie strategie belliche a cui ci ha già abituati nel corso della storia, come spiegò il generale Lawrence Wilkerson nell’agosto del 2018, le cui parole sono state riproposte dalla portavoce del Ministero degli affari esteri cinese nel corso della conferenza stampa del 26 marzo.

In quell’occasione Hua Chunying ha mostrato il video del discorso tenuto al Ron Pole Institute dal colonnello statunitense Lawrence Wilkerson, capo del personale dell’ex Segretario di Stato e colonnello dell’esercito USA Colin Powel (noto per la sua orazione al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dove brandì la falsa prova della fialetta di antrace per promuovere l’invasione dell’Iraq del 2003), nel quale egli afferma: “Siamo in Afghanistan così come eravamo in Germania per la Seconda Guerra Mondiale, perché l’unico potere che gli Stati Uniti hanno è di mantenere quella poltrona vicino al tavolo che dirige la via della seta cinese che attraversa l’Asia centrale. Se dovessimo affrontare la questione militarmente, siamo nella posizione di farlo dall’Afghanistan. La seconda ragione per cui siamo lì è perché siamo pappa e ciccia con quella che è potenzialmente la più instabile riserva nucleare sulla faccia della Terra in Pakistan, vogliamo essere in grado di prendere il controllo di quella riserva nucleare stabilizzandola, se necessario. La terza ragione è perché ci sono venti milioni di Uiguri a cui non piacciono i cinesi Han nella provincia dello Xinjiang nella Cina occidentale, e se la CIA dovesse organizzare un’operazione usando quegli Uiguri come Erdogan ha fatto in Turchia contro Assad, ce ne sono venti mila che ora vivono tra Iran e in Siria, per esempio. Questo è il motivo per cui i cinesi potrebbero dispiegare forze militari in Siria nel futuro prossimo, per prendersi cura di quegli Uiguri che Erdogan invitò nel proprio Paese. Se la CIA volesse destabilizzare la Cina, quello sarebbe il modo migliore per farlo: incoraggiando manifestazioni e facendovi partecipare gli Uiguri contro gli Han a Pechino, minando gli equilibri della Cina dall’interno piuttosto che da fuori. Non sto dicendo che questo accadrà ora, ma è una possibilità”.


Questo il commento di Hua Chunying: “Wilkerson spiega che una delle tre ragioni che giustificherebbero la presenza dell’esercito degli Stati Uniti in Afghanistan è arginare la Cina. L’ex colonnello dice apertamente che la presenza USA in Afghanistan è dovuta anche alla presenza di venti milioni di Uiguri nella regione dello Xinjiang. Il miglior modo per la CIA di destabilizzare la Cina è pianificare manifestazioni in tutto il Paese. Se la CIA sarà in grado di sfruttare al meglio gli Uiguri con una sorta di alleanza e provocando costantemente Pechino, potrà minare il Paese dall’interno piuttosto che dall’esterno. Ora, gli Stati Uniti e alcuni suoi alleati occidentali stanno proiettando le loro ombre sull’immacolato cotone dello Xinjiang, accusandoci di reati come lo sfruttamento di lavoro forzato, sterilizzazione forzata, nonché genocidio, e usano queste accuse come scusa per imporre sanzioni all’industria legata a quel settore. Come avete visto nel video, un alto ufficiale di rango dell’esercito americano, coinvolto nella creazione della guerra all’Iraq, ha ammesso che il cosiddetto dossier Uiguri non è altro che un complotto statunitense per destabilizzare ed arginare la crescita della Cina. [...] Si sono alleati con altre forze anticinesi per denigrare il Paese con pettegolezzi di corridoio o appoggiare tesi anticinesi costruite da altri, manipolando i fatti relativi allo sviluppo e al progresso di venticinque milioni di persone appartenenti alle minoranze dello Xinjiang. Citano fonti e testimonianze fidabili gli Stati Uniti, erigendosi a cani da guardia dei diritti umani nella regione cinese. […] I fatti hanno già ripetutamente dimostrato che il dossier Xinjiang non ha niente a che vedere con i diritti umani, l’etnia o la religione. La questione riguarda l’anti separatismo e il contrasto alla violenza, al terrorismo e alle interferenze straniere. Gli Stati Uniti hanno orchestrato la campagna sullo Xinjiang non perché interessi loro il bene della popolazione uigura, altrimenti non avrebbero aggredito altri Paesi islamici in seguito agli attacchi dell’11 settembre, né avrebbero legiferato per impedire ad alcune popolazioni islamiche di poter viaggiare negli Stati Uniti tramite un divieto, discriminando e perseguitando musulmani e altre minoranze nel loro stesso Paese, ma per altre ragioni. Il vero scopo è minare la sicurezza e la stabilità della Cina e di impedirne lo sviluppo. Voglio mettere in guardia gli Stati Uniti, facendo presente che la Cina non è l’Iraq o la Siria, né tantomeno la vecchia e vulnerabile Cina della dinastia Qing, umiliata dalle forze alleate degli Otto Poteri (ossia l’alleanza del 1901 composta da Regno Unito, USA, Italia, Giappone, Francia, Austria, Russia e Germania che costrinse la dinastia Qing alla firma del trattato dei Boxer, ndr). La Cina è in piedi e come si può vedere alla luce del sole ha la schiena dritta. I fatti e le verità sotterreranno tutte queste bugie e i malevoli chiacchiericci sulla Cina. Siamo anche dotati della necessaria determinazione di proteggere in modo fermo e risoluto la nostra sovranità e la nostra sicurezza nazionale, salvaguardando i nostri interessi e la nostra dignità. […] è arrivato il momento di mettere la parola ‘fine’ allo spettacolo messo in atto dagli Stati Uniti”.


La portavoce Hua Chunying sembra aver messo in chiaro la posizione del proprio Paese nel contesto della corsa all’egemonia mondiale, forte anche del recente consolidamento delle alleanze con Russia, Corea del Nord e Iran in seguito agli incontri effettuati dal ministro degli esteri Wang con i rispettivi rappresentanti dei tre Paesi.

 

Fonti:








 
 
 

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