
Che la Cina non fosse esattamente la terra ideale nella quale i diritti umani rappresentano il fiore all’occhiello della politica nazionale, questo rappresentava un qualcosa di tristemente noto.
Tra libertà violate e impossibilità di manifestare apertamente il proprio pensiero sociale e politico (si veda il caso di Hong Kong), il governo cinese è stato anche in grado di fare peggio, provando anche a far passare in sordina un dramma sociale ed etnico sempre più grave. Parliamo del genocidio degli Uiguri.
L’etnia uigura è una minoranza cinese turcofona e prevalentemente musulmana che vive per la gran parte nella regione autonoma dello Xinjiang, nel nord-ovest della Cina.
Questa gente, inizialmente parte integrante di uno Stato indipendente, la Repubblica del Turkestan, non ha mai accettato il fatto di essere stata sconfitta e inglobata all’interno della Repubblica popolare cinese, con l’aiuto dell’Unione Sovietica, nel lontano 1949. Da lì in poi, si sono susseguiti una serie di scontri che hanno costretto il governo di Pechino ad intervenire militarmente per ripristinare l’ordine pubblico e, allo stesso tempo, onde prevenire futuri focolai di ribellione e premiare la parte della popolazione filo-governativa, a concedere l’autonomia alla regione.
Da qualche anno a questa parte, un consistente numero di Uiguri è rinchiuso all’interno di campi di detenzione appositamente costruiti per loro. Negli ultimi tre anni, inchieste giornalistiche e report delle Nazioni Unite hanno mostrato come gli Uiguri vengano rinchiusi senza avere possibilità di difendersi o di sostenere un processo. Inoltre, questa gente viene sottoposta a indottrinamento, lavori forzati e anche a torture. Il governo cinese ha sempre negato la repressione sistematica contro questa etnia e ha giustificato queste prove come una campagna di repressione al terrorismo. Questa giustificazione proverebbe dalla volontà uigura di recarsi in Medio-Oriente, combattere nelle fila di DAESH e tornare in patria per poter applicare contro la Cina quanto appreso dall’esperienza militare.
Il caso rappresentato da questa etnia, nella sua malvagità, non è un progetto isolato, anzi. Gli esperti hanno parlato degli Uiguri come destinatari un vero e proprio genocidio demografico.
Un’azione di questo genere fa parte di un più ampio progetto politico di vera e propria repressione. Infatti, oltre alla detenzione, c’è anche un rigido controllo delle nascite. Le donne uigure vengono rese sterili contro la loro volontà. Questo avviene in diverso modo: o temporaneamente, con l’inserzione forzata di una spirale o tramite somministrazione di pillole contraccettive; o definitivamente, con operazioni chirurgiche. Le donne sono anche sottoposte a visite ginecologiche obbligatorie, ed eventuali gravidanze vengono interrotte senza considerare la loro volontà o quella del compagno.
Studi molto accreditati hanno denunciato il fatto che per permettere determinate operazioni di chirurgiche, eseguite senza tener conto del consenso o meno di chi le subisce, sono molto invasive e dolorose.
Alla luce di queste denunce è assolutamente necessario e doveroso parlare di genocidio. A tal proposito, la Convenzione per la prevenzione e punizione del crimine del genocidio, adottata dalle Nazioni Unite nel lontano 1948, definisce questo crimine l’“imporre misure con lo scopo di prevenire nascite”. Questa definizione ben si collega con la dura e cruda realtà dei fatti che caratterizza la regione cinese. Infatti, fra il 2015 e il 2018, ultimo anno in cui sono disponibili le statistiche raccolte dal Governo, il tasso di natalità dello Xinjiang è crollato drasticamente. Nel 2015 era tra i più alti dell’intero Paese, tre anni dopo, invece, si attestava tra i più bassi. Nell’Hotan e nel Kashgar, territori dello Xinjiang dove la popolazione uigura è particolarmente numerosa, si è passati da quasi 22 nati l’anno ogni mille abitanti a circa 8. È probabile che oggi questi numeri siano ancora più bassi.
La comunità internazionale ha chiesto delucidazioni a Pechino in base alle prove raccolte, ma dalla Cina non è mai arrivata nessuna risposta e il silenzio è ancora persistente. Il tutto, nonostante gli Stati Uniti abbiano inflitto delle sanzioni alle imprese cinesi coinvolte in questa faccenda.
Inoltre, nel luglio 2020 un giornalista della BBC ha mostrato all’ambasciatore cinese nel Regno Unito, Liu Xiaoming, un video che circolava su Internet e che mostrava diverse persone bendate disposte in fila mentre venivano fatte salire su un treno, in un luogo riconosciuto da diversi osservatori come appartenente allo Xinjiang. Il rappresentante del Governo non ha risposto alle domande del giornalista e, di contro, ha sostenuto che la popolazione della regione stessa era aumentata negli ultimi anni senza però fornire però alcuna specifica al riguardo.
Per provare a dare ulteriore attenzione a questo dramma umano, alcuni gruppi di attivisti stanno cercando di dare maggior visibilità alla questione uigura cercando di sensibilizzare gli sponsor delle prossime Olimpiadi invernali che si terranno proprio a Pechino nel 2022.
Il vero rischio è che, in una Cina sempre più lanciata verso il progetto di egemonia mondiale, soprattutto in un momento in cui gli Stati Uniti appaiono così divisi e deboli, non si possa veramente far nulla per scalfire la tetragona ingiustizia che ispira le politiche del partito comunista cinese.
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