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Integrazione possibile


Negli ultimi anni abbiamo sentito in maniera più frequente parole come multiculturalismo o intercultura in riferimento a paradigmi socio-politici volti a garantire un’adeguata integrazione degli stranieri nel tessuto sociale nazionale di uno Stato.


Ultimamente però, l’attenzione si è focalizzata maggiormente su quei Paesi, come Australia e Nuova Zelanda, che stanno lavorando per garantire una maggiore integrazione non tanto degli stranieri, quanto delle popolazioni indigene delle due isole. Parliamo, nello specifico, degli Aborigeni in Australia e dei Maori in Nuova Zelanda.


La situazione australiana appare ancora un po' lontana da una positiva definizione. Risale a luglio 2020 la notizia dello scontro tra la comunità aborigena dell’ovest del Paese e la famosa società estrattiva anglo-australiana Rio Tinto. Nonostante la Corporate Human Rights benchmark (associazione costituita da imprese nazionali ed organizzazioni civili) abbia attribuito alla Rio Tinto un punteggio molto alto nel qualificare la sua attività industriale in relazione al rispetto dei diritti delle minoranze, la comunità aborigena di cui sopra ha lamentato la distruzione, durante il mese di maggio, di due grotte sacre per le comunità native, entrambe ubicate nella regione di Pilbara. Inoltre, questi lavori hanno anche ricevuto il via libera da parte del Governo federato dell’Australia Occidentale. Una grave mancanza di sensibilità verso le minoranze locali che ha delle radici profonde addirittura all’interno di quelle istituzioni che dovrebbero, per prime, lavorare per garantire una pacifica convivenza per una popolazione così eterogenea.


Dopo le polemiche per quanto fatto dalla Rio Tinto, un’altra azienda estrattiva australiana, la BHP, ha fatto dei passi indietro mostrando maggior buon senso e attenzione verso i diritti e le necessità della popolazione aborigena. Infatti, il colosso minerario ha annunciato che, dopo gli errori che hanno portato alla distruzione di siti così sacri e storicamente importanti (risalenti addirittura a 46 mila anni fa), non procederà più ad alcuna attività se non previa consultazione della comunità aborigena per sincerarsi dell’importanza storico-religiosa di un sito.


Infatti, questa importantissima decisione arriva dopo l’ennesimo scontro con la popolazione aborigena. Infatti, BHP aveva pianificato di distruggere fino a 40 siti sacri per il popolo Banjima per far posto alla sua miniera da 4,5 miliardi di dollari in South Flank, vicino a Newman. Dietro a questa azione si registra il consenso del Ministero degli Affari aborigeni.


Queste compagnie continuano ad agire indisturbate per via di leggi obsolete e risalenti al 1972 che danno il via libera e permettono di estrarre il ferro dall’antichissimo sito. Solo le lunghe e incessanti proteste della popolazione locale hanno permesso di maturare una maggiore attenzione verso il patrimonio storico-culturale di una popolazione sempre più ignorata in quanto minoranza. Urge una misura legislativa adeguata e adatta ai tempi moderni.


Nell’ottica di una maggiore integrazione, l’Alta Corte australiana ha sentenziato che gli Aborigeni non possono essere espulsi dalla Australia nonostante non abbiano la cittadinanza perché non si riconoscono nello Stato nel quale vivono.


Successivamente, accanto a questa storica affermazione, anche il Vaticano si sta muovendo nella direzione del dialogo con il popolo aborigeno. Infatti, il Consiglio cattolico degli aborigeni e degli abitanti delle Isole dello Stretto di Torres del Queensland e la Reconciliation Australia, un’organizzazione no-profit impegnata nella promozione della riconciliazione con i popoli originari australiani, ha adottato dopo quattro anni di consultazioni il Piano di azione per la riconciliazione.


Nello specifico, il Piano ha come obiettivi quello di creare più posti di lavoro per gli aborigeni nella Chiesa, agevolare l’accesso di queste comunità ai vari servizi forniti e di valorizzare le loro tradizioni nella vita ecclesiale.


A questo scopo, il Piano impegna l’arcidiocesi a sensibilizzare i suoi dipendenti con speciali corsi di formazione. Saranno inoltre aggiornate, dove possibile, tutte le brochure, pamphlet e poster diocesani per includere elementi delle culture indigene. È prevista, inoltre, una maggiore collaborazione tra i cattolici indigeni e non indigeni per eliminare tutti quegli ostacoli che continuano ad impedire loro di contribuire attivamente alla vita della Chiesa con il loro ricco patrimonio culturale e spirituale.


Rimanendo sempre in Oceania, ma spostandoci ad Auckland, risulta molto importante l’annuncio fatto dalla Premier neozelandese Jacinda Arden che ha dichiarato, rispettando un punto del suo programma elettorale con il quale è stata rieletta, che il Matariki, ovvero il capodanno maori, sarà riconosciuto come festività nazionale. Nonostante i Maori costituiscano “solo” il 16% della popolazione, l’istituzionalizzazione di questa festività che verrà celebrata in perfetto stile neozelandese rappresenta un passo importante per dare una maggior consapevolezza sull’identità culturale del Paese ai suoi stessi cittadini.


Queste ultime due testimonianze ci raccontano qualcosa di importante. Infatti, è vero che la popolazione e il suo tessuto demografico sono i primi a doversi fare portavoce dei diritti sociali di ogni componente, ma è il mondo delle istituzioni (soprattutto politiche) quello chiamato a suggellare e a garantire il rispetto dei diritti di tutti, senza alcuna distinzione.

 

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