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Una risorsa diseguale

Immagine del redattore: Vanni NicolìVanni Nicolì

In tutto il pianeta si è salutato il 2020, anno a dir poco sciagurato, con l’augurio che dal 1° gennaio 2021 si potesse assistere ad una vittoria, più o meno definitiva, nei confronti del Coronavirus. Sconfiggere questa terribile pandemia, poter tornare a vivere la solita e tranquilla routine e non dover più indossare guanti e mascherine sono le speranze che hanno e continuano ad accomunare persone da diverse parti del Mondo e di diverse razze e religioni.


L’arrivo dei primi vaccini, le risposte positive date dalle varie agenzie ed enti farmaceutici hanno alimentato ulteriormente queste speranze.


Ed ecco che, da quel momento, chi più chi meno, si è iniziato a prendere sempre più dimestichezza con certi nomi che ormai rimbalzano su ogni testata nazionale e telegiornale. Si sente parlare di Pfizer-BioNTech, di AstaZeneca e di Sputnik V. Nell’ordine, i primi due nomi indicano le case farmaceutiche che hanno prodotto i primissimi vaccini che l’EMA (l’agenzia europea del farmaco) ha approvato permettendo la diffusione di questi prodotti sul continente. Il terzo e ultimo nome, invece, rappresenta il vaccino russo che Mosca è riuscita a produrre con dei tempi incredibilmente veloci da non convincere del tutto gli esperti europei e americani. Al di là della natura di questo scetticismo, se anche politico oltre che scientifico, oggi la stessa EMA si sta confrontando con le autorità sanitarie russe per avere maggiori informazioni su questa cura.


Dopo gli annunci dell’arrivo delle prime dosi in Italia, come nel resto dell’Europa e del Mondo, e dopo tutta l’attenzione e l’accortezza logistica di cui ci si è dotati per riceverli e conservarli (si ricorda che quelli prodotti dalla Pfizer necessitano di una conservazione particolare, ad una temperatura di -80 gradi), si è registrata una brusca e preoccupante frenata che ha smorzato i primi giustificati entusiasmi.


Già Pfizer aveva comunicato prima dei ritardi e poi delle riduzioni delle dosi da consegnare rispetto a quelle pattuite; a questa ha dato seguito il comunicato di AstraZeneca che ha fatto sapere che distribuirà meno dosi rispetto a quelle previste al di là del lascia passare che l’EMA dovrebbe concedere al loro prodotto vaccinale per la fine del mese di gennaio.


Al di là dell’impatto negativo che tale annuncio porta sul morale della popolazione e sull’economia di tutti i Paesi, l’affermazione di AstaZeneca è quella che più preoccupa data la collaborazione dietro questa casa farmaceutica (sinergia anglo-italiana) e la facilità di conservazione dei vaccini stessi.


Per giunta, solo qualche settimana fa, la Commissione Europea ha fatto sapere che a causa di problemi non precisati legati alla produzione del vaccino da parte dell’azienda francese Novasep, sarà in grado di fornire solo una parte delle dosi pattuite. Inoltre, rimbalzano notizie che AstraZeneca fornirà soltanto 31 milioni di dosi entro marzo, e che al momento non sa se riuscirà a mantenere, nei mesi successivi, la consegna delle forniture promesse.


Ad oggi, non ci sono ancora stime ufficiali sulle riduzioni e su quante dosi in meno riceverà ogni Paese europeo. In Austria, il ministero della Sanità ha detto che si aspetta una riduzione di poco superiore al 50 per cento, mentre in Lituania si parla di un taglio dell’80 per cento delle dosi.


Il calcolo di questi tagli sicuramente non ha osservato il principio di uguaglianza e, sicuramente, nemmeno quello della proporzionalità. Perché, se è vero che Vienna conta un numero maggiore di abitanti nei propri confini rispetto a Vilnius, come mai allora l’Italia, come reso noto dal Premier Giuseppe Conte tramite un suo post su Facebook, non riceverà circa il 60% delle dosi che le erano state promesse? Nello specifico, arriveranno 3,4 milioni di dosi rispetto alle 8 inizialmente previste.


Questo ha comportato delle modifiche importanti e numerose nel piano nazionale delle vaccinazioni che l’Italia, in concerto con le Regioni, aveva stabilito. Molti governatori infatti hanno deciso di rinviare l’inizio della campagna vaccinale a favore della popolazione over-80.

Se l’Italia, ad oggi, è il primo e unico Paese che ha detto che intraprenderà azioni legali contro le già nominate case farmaceutiche, ciò che colpisce è lo strano immobilismo e l’incoerenza dell’Unione Europea. Da Bruxelles, infatti, a parte l’insoddisfazione espressa dalla Commissaria alla salute, Stella Kyryakides, c’è stata la promessa di maggior attivismo da parte del Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. In questo scenario squisitamente politico, si aggiunge il fatto che non si comprende come mai l’ufficio del Mediatore Europeo, un’autorità comunitaria indipendente con funzioni da difensore civico, ha aperto un’indagine sulla decisione della Commissione di non rendere pubblici i contratti di prenotazione dei vaccini stipulato da ciascun Paese membro.


Insomma, siamo davanti ad un altro, ennesimo, ostacolo (anche di natura burocratica in questo caso) nel funzionamento dell’Unione Europea. Ovvio che le responsabilità europee sono decisamente inferiori rispetto a quelle delle case farmaceutiche, ma c’è da chiedersi quanto sia complicato lasciarsi ispirare dall’uguaglianza, quanto sia difficile pensare in maniera convinta e definitiva l’Unione come un organismo politico unico. Ai posteri l’ardua sentenza.


 

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