
Quanto costa la libertà? Quanto vale la pena lottare e manifestare a favore della democrazia? Tutte queste domande hanno imperversato per tutto il Cile nelle ultime settimane, mesi e anche anni.
Quello cileno è un Paese particolare differente rispetto agli altri dell’America Latina. Se dovessimo parlare dei Cileni con dei Brasiliani, Argentini o Boliviani, tutti si esprimerebbero dicendo che loro sono i meno sudamericani dell’intero continente.
Eppure, la storia ci insegna che a Santiago e dintorni la vita non è stata sempre facile, che la democrazia non è stata una conquista immediata. Perché? Bisognerebbe rintracciare la risposta negli anni di Pinochet che hanno prodotto una costituzione ancora oggi piedi, seppur per poco.
Già perché, in questi giorni, una nuova e rivoluzionaria Assemblea Costituente si è messa al lavoro per disegnare i pilastri legislativi che dovranno ispirare il nuovo testo costituzionale cileno per permettersi di cancellare anche l’ultima traccia di un passato triste che il Paese ha ormai lasciato alle sue spalle.
La tornata elettorale di metà maggio ha consegnato alla storia politica cilena un nuovo e incredibile capitolo. Chiamati a rinnovare i seggi della Costituente e a scegliere i sindaci e i governatori regionali, i Cileni hanno espresso un voto storico. La destra non ha raggiunto il quorum necessario per poter impedire di avviare ai cambiamenti nella Costituente e, di conseguenza, alla costituzione; la sinistra, gli indipendentisti e i movimenti sociali vincono alle urne e viene riconosciuto un enorme risultato elettorale anche ai movimenti femministi che vedono l’affermazione di una sindaca nella capitale Santiago.
Le forze di governo di destra, a lungo al potere (dal 1990 al 2010), hanno abdicato riconoscendo l’inequivocabile segnale di una volontà nuova e differente da parte della popolazione.
Già, perché i segnali di un certo distacco e di una forte sfiducia nei confronti della classe politica si sono avvertiti sia nel momento elettorale (che ha registrato un’affluenza bassa rispetto alle precedenti) e dalle tensioni sociali che si sono registrate nell’ultimo anno e mezzo nel Paese. Un esempio importante, a tal proposito, deriva dalle proteste iniziate nell’ottobre 2019 (e ancora oggi non del tutto sedate) che hanno provocato almeno 20 morti, oltre 2000 feriti e ben 5000 arresti da parte della polizia nazionale.
Dietro queste ribellioni, ci sarebbe stata la mano di un milione di protestanti che ha occupato le principali stazioni ferroviarie di Santiago e si è scontrata con la polizia a causa di proteste iniziate nella capitale con un movimento coordinato nel non pagare i biglietti dei mezzi pubblici da parte degli studenti delle scuole secondarie.
Nonostante questi dati e numeri, la democrazia cilena ha subito una scossa importante dopo diversi anni in cui è rimasta assopita e quasi del tutto paralizzata.
Il Paese, alla luce di queste nuove elezioni sta per scoprirsi diverso e ha una grande occasione.
Il desiderio è quello di riscrivere un testo costituzionale che sia in grado di riequilibrare il rapporto tra lo Stato e il mercato (ad oggi completamente sbilanciato in favore del secondo); di includere definitivamente e in maniera pienamente garantista i popoli indigeni e i loro diritti e, con questo, riconoscere la plurinazionalità del Paese e, infine ma non meno importante, sancire la parità di genere.
Oltre a riconoscere dei diritti così importanti, se non fondamentali per l’intero tessuto sociale cileno, questo nuovo tentativo di costituzione permetterà ai Cileni di lasciarsi alle spalle anche l’ultimo simbolo di un’epoca lontana e buia come quella di Pinochet.
Infatti, la costituzione attualmente vigente è quella imposta (seppur tramite plebiscito) dal dittatore nel 1980. Un testo che, oltre a dei limiti democratici-garantistici, ha un grave peccato originale: nessuna possibile opposizione, clima di tensione e coercizione della volontà elettorale.
Nel 2015, per ovviare al deficit democratico costituzionale, il Paese adottò il modello della rappresentazione proporzionale, discostandosi dal dettato costituzionale, ma l’intera ossatura del testo originale rimane ancora in piedi.
Ora, a 6 anni dall’ultimo cambiamento, a 41 dall’adozione della Carta, il Cile ha una grande opportunità. Questa, stavolta più che mai, davvero frutto di una chiara ed inequivocabile volontà nazionale che ha portato alla luce i suoi desideri, le sue speranze e perfino le sue paure.
Alla nuova Costituente il compito, seppur non semplice, di intercettare questi sentimenti popolari e assecondarli per dare il seguito ad un nuovo e democratico corso politico cileno.
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