
A poco più di un anno dal ritiro unilaterale dall’accordo sull'eliminazione dei missili a medio e corto raggio, il consigliere della Casa Bianca per la sicurezza nazionale Robert O'Brien ha rivelato, tramite un discorso tenuto all’Hudson Institute nell’ottobre del 2020, la probabilità che gli Stati Uniti possano installare missili ipersonici nel nostro continente, al fine di contenere quella che ormai è un’ossessione per il governo di Washington, ossia la minaccia russa (assieme a quella cinese). Il ritiro fu annunciato nel febbraio 2019 dall’allora presidente Trump, che provocò la reazione analoga del presidente Putin. Furono così gettati al vento trentadue anni di storia nei quali si assistette alla distruzione di ben 2692 missili (846 americani e 1846 russi) in virtù dell’Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty sottoscritto a Reykjavik da Ronald Reagan e Mikhail Gorbaciov, segnando una pietra miliare nella fase del disgelo. La conferma alle paventate ipotesi del consigliere O’Brien è arrivata lo scorso 11 marzo attraverso le parole pronunciate dal generale James C. McConville, capo di stato maggiore dell’Esercito degli Stati Uniti, nel corso di un convegno che radunava i massimi esperti del settore. Il generale ha affermato che attualmente è in fase di produzione da parte dell’esercito a stelle e strisce una “Multi-domain Task Force”, che sarà installata in Europa, e altre due nel Pacifico. Questa Task Force sarà capace di garantire servizi di precisione nel lungo raggio, anche per quanto riguarda la balistica. Infatti, oltre a poter essere impiegata per operazioni informative, cibernetiche, di intelligence e spaziali, disporrà di “missili ipersonici, missili a medio raggio, missili per attacchi di precisione” che sono capaci di penetrare quello che nel gergo militare viene definito “Anti-Access Aerial Denial environment”, ossia quelle aree geografiche protette da sistemi di difesa che impediscono alle armi nemiche di attraversarla.
Riferimenti a quello stesso tipo di armi che furono proibite dal trattato INF del 1987 sono presenti anche nel comunicato stampa del DARPA (Defence Advanced Research Projects Agency, l’agenzia statale statunitense con il compito di dotare la difesa nazionale degli strumenti tecnologici più all’avanguardia possibile) dell’11 gennaio scorso, che informa sugli sviluppi in merito al progetto affidato alla Lockheed Martin Missiles and Fire Control finalizzato alla creazione di un sistema di armi ipersoniche a raggio intermedio, con lancio da terra capace di colpire bersagli importanti in modo preciso e rapido, penetrando le moderne difese aeree nemiche.
La decisione di installare missili ipersonici nel vecchio continente e nell’oceano Pacifico ha tutta l’aria di essere una risposta ai notevoli progressi ottenuti in questo campo da parte del Cremlino, che ha annunciato di aver concluso positivamente i test sul missile Zirkon, e all’avvistamento di un missile balistico con capacità ipersoniche appeso ad un velivolo militare di Pechino tramite un video girato molto probabilmente nella base aerea di Neixiang Ma’ao.
Ma che cos’è un missile ipersonico? Si tratta di un’arma che coniuga i pregi di un missile da crociera e di un missile balistico. Il primo è di dimensioni relativamente piccole ed è piuttosto lento nella sua traiettoria di viaggio, la quale può così essere manovrata a distanza con più facilità restando sempre all’interno dell’atmosfera. Il secondo, pur uscendo dall’atmosfera, riesce ad impattare il bersaglio in breve tempo e ha delle dimensioni medie di venti metri di lunghezza e due metri e mezzo di diametro le quali, da un lato, gli consentono di trasportare fino a una dozzina di testate nucleari, ma dall'altro, lo rendono facilmente individuabile e prevedibile (anche se difficilmente neutralizzabile). Il missile ipersonico, come suggerisce il suo nome, viaggia ad una velocità superiore a quella del suono (almeno di cinque volte, equivalente a circa 5760 km/h) e per di più senza uscire dall’atmosfera, dimezzando così i tempi d’impatto rispetto al missile balistico, con l’ulteriore possibilità di gestirlo come un missile da crociera quando si avvicina all’obiettivo.
Da queste informazioni risulta quindi evidente come stia assumendo sempre più importanza la dimensione spaziale del conflitto, in quanto queste armi sono gestite da sistemi satellitari. L’ex presidente Trump ha colto già da tempo la sempre più crescente importanza della dimensione spaziale, e lo ha dimostrato istituendo la prima forza armata dello spazio. Inoltre, la rapidità di attacco di queste nuove armi riduce a pochi minuti, se non addirittura secondi, la finestra temporale per decidere una contromisura: tempi impossibili da rispettare per le capacità di un essere umano, il quale non potrà far altro che affidare il processo decisionale difensivo agli algoritmi dell’intelligenza artificiale, e pregare per l’esito finale. Alla luce di questo ragionamento, dunque, non susciterà scalpore il nuovo programma militare stilato nel Defence Paper del Regno Unito, il quale prevede una riduzione del personale militare (circa diecimila unità) e di armamenti terrestri e aerei (quali caccia, carrarmati e veicoli da combattimento) a favore di un implemento di “robot, droni e cyber armamenti di ultima generazione” oltre a navi, sottomarini, armi ad energia diretta, missili ipersonici e testate nucleari.
Nonostante l’annunciata esercitazione militare virtuale prevista per quest’estate tra USA, Russia e Cina, in linea con l’ormai consolidata tendenza a spostare le esperienze reali al virtuale a causa della proclamata pandemia, nel frattempo, le esercitazioni militari in giro per il globo non si arrestano (vedi la recente esercitazione USA-Canada a condizioni climatiche di -20°C, la scorsa Defender Europe 2020 e la prossima Defender Europe 2021), forse perché i militari, come le armi e i soldi, sono immuni dal Covid-19. Senza dimenticare gli appelli di Greta Thunberg, la quale si è probabilmente dimenticata di citare l’inquinamento provocato dagli eserciti militari.
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