
Lo scorso 22 febbraio l’ambasciatore italiano in Congo, Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista delle Nazioni Unite, Mustapha Milambo, rimanevano uccisi in un agguato che, come rivelato da diverse fonti giornalistiche, sarebbe stato organizzato dal colonello Jean Claude Rusimbi, signore della guerra del Ruanda.
A questi tragici eventi, si è anche aggiunto l’omicidio, il 2 marzo, del procuratore militare, il maggiore Assani William, che stava indagando sull’accaduto per conto del Tribunale della guarnigione di Rutshuru nel Nord Kivu.
Ancora oggi, risulta difficile ricostruire le motivazioni che hanno portato a questi due terribili agguati e le ipotesi sono numerose e di diversa natura.
Per quanto riguarda l’ambasciatore, si paventa la possibilità che Attanasio abbia pagato il desiderio di indagare approfonditamente sui massacri civili perpetrati in Ruanda e in una parte del Congo confinante con il piccolo Stato centrafricano. Alcuni missionari comboniani attivi in questa difficile e pericolosa zona hanno confermato come Rusimbi fosse venuto a conoscenza delle intenzioni di Attanasio.
La posizione del Ruanda, però, sembrerebbe estranea ai fatti poiché qualcuno all'interno delle forze armate inviate nell'Est del Congo, di cui il procuratore era anche il revisore dei conti e quindi il controllore dei flussi di denaro, temeva il lavoro di William. In questo modo, i sospetti ricadrebbero su reparti, milizie e ufficiali dell’esercito e della polizia ancora fedeli all'ex presidente filocinese Joseph Kabila. L'alleanza con Stati Uniti e Francia dell'attuale Capo dello Stato, Félix Tshisekedi, con il quale Attanasio manteneva ottime relazioni, così come gli altri diplomatici occidentali accreditati a Kinshasa, ha infatti aperto nell'ex colonia belga un nuovo clima di guerra fredda.
Queste nuove ipotesi investigative di natura politico-militare, fanno comprendere quanto la Repubblica Democratica del Congo viva, ancora oggi, una situazione sociale e politica davvero complicata e difficile.
Nonostante questo Paese sia uno dei più estesi dell’intero continente africano e uno tra i più ricchi in termini di risorse minerarie e agricole, il Congo rimane ancora oggi una terra senza pace e stabilità.
Le attenzioni dell’ONU, ormai da tempo, sono focalizzate sui continui massacri a danno dei civili che vengono perpetrati nelle due regioni del Kivu (sia Nord che Sud).
Questi sono, inevitabilmente, l’eredità politica dei precedenti governi avuti a Kinshasa.
Alle tensioni politiche interne al Paese, si deve aggiungere la difficile eredità politica dovuta alla “grande guerra africana”, o seconda guerra del Congo, di cui la Repubblica Democratica fu teatro tra il 1998 e il 2003. Questa portò con sé un lungo carico di tensioni politiche accumulate nel tempo e mai risolte come ambizioni nazionali, questioni di sicurezza, progetti politici incompatibili, volontà da parte di molti attori, locali e non, di mantenere il controllo su risorse minerarie preziose a scapito dei propri avversari. In breve, tutte queste ragioni trovarono un’atroce valvola di sfogo, scatenando azioni e reazioni moltiplicate dalla presenza contemporanea di forze armate nazionali e di gruppi ribelli, con un susseguirsi ininterrotto di cambiamenti di fronte e di alleanze che coinvolsero ben otto Stati.
Laurent Kabila, già presidente della RDC, restò in carica fino al giorno del suo assassinio, il 16 gennaio 2001. Nonostante il suo potere fosse fragile, egli ostacolò l’avvio di negoziati di pace. Inoltre, la nomina come suo successore, per niente democratica, del figlio Joseph venne presentata agli attori coinvolti come una soluzione inevitabile a questa lunga e sanguinosa crisi.
Se una soluzione politica fu trovata con la nomina del giovane Kabila, la situazione sociale del Paese non trasse giovamento nei successivi 19 anni (fino alle elezioni del dicembre 2018, che portarono al potere l’attuale presidente Tshisekedi). Il Governo di Kabila Jr. si rivelò una compagine politica incapace di affrontare i problemi strutturali dello Stato, ma abile nel tessere accordi economici con nuovi e antichi attori regionali e internazionali. In quegli anni, la Repubblica Democratica del Congo era costantemente relegata nei posti più bassi di qualsiasi statistica che riguardasse l’indice di sviluppo umano, la sicurezza e la democrazia. Questo Governo, nonostante gli iniziali impegni, non aveva più l’intenzione di lavorare come interlocutore di pace per una profonda ricostruzione nazionale.
Oggi, nonostante la presenza dei Caschi Blu nelle problematiche regioni del Kivu e dell’Ituri, la pace e la stabilità politica tanto agognate nel Paese rappresentano ancora un obiettivo molto lontano. Nonostante l’attuale Presidente Tshisekedi abbia presentato nel suo programma politico la pacificazione dell’area orientale del Paese, le forze armate ribelli sono ancora molto forti e radicate.
Si auspica, per il bene di questo Stato e la salvaguardia della vita di numerosi e innocenti civili, che questa rinnovata attenzione da parte della comunità internazionale e il rimpasto di governo avuto recentemente a Kinshasa possano essere i primi segnali per avviare un nuovo e deciso percorso di democratizzazione di tutta la Repubblica Democratica del Congo.
Fonti:
Fonte immagine:
コメント