
Uno dei maggiori punti del programma elettorale di Donald Trump era quello di restituire gli Stati Uniti d’America agli Americani e, nel tentativo di realizzare questa ambizione, il Presidente aveva deciso di rispolverare e rinnovare un vecchio progetto politico e sociale che prevedeva la costruzione di un muro tra gli Stati Uniti e il Messico.
Già, perché questa soluzione (se così può essere effettivamente chiamata) non rappresenta una novità nella galassia delle idee partorite nelle sale della Casa Bianca.
Infatti, la prima costruzione del muro ha avuto inizio nel 1990, durante la presidenza di George Bush (padre), quando la polizia di frontiera elaborò una strategia di contenimento dei flussi migratori definita “prevenzione attraverso la deterrenza”. Questa, oltre all’edificazione di un muro, prevedeva anche la costruzione di recinzioni e ostacoli sul confine, specie nell'area californiana di San Diego, una delle più vicine al Messico.
Il primo tratto, di 22,5 chilometri, fu completato nel 1993. Nel 1994, durante la presidenza Clinton, la barriera e la strategia di contenimento furono sviluppate ulteriormente. Infatti, si decise di aggiungere la presenza fissa di forze di polizia al confine.
Prima del nuovo progetto Trump, il muro presenta una barriera di lamiera metallica sagomata, alta dai due ai quattro metri che si snoda per chilometri lungo la frontiera tra Tijuana e San Diego. Altri tratti di barriera si trovano inoltre in Arizona, Nuovo Messico e Texas.
Per di più, questo è dotato di illuminazione ad altissima intensità, di una rete di sensori elettronici e di strumentazione per la visione notturna, connessi via radio alla polizia di frontiera statunitense, oltre ad un sistema di vigilanza permanente effettuato con veicoli ed elicotteri armati.
Pochi giorni il suo insediamento, nel 2016, il 45esimo Presidente adottò l’ordine esecutivo 13767 con il quale ha dato seguito al rinnovamento del progetto. Ad oggi, dei 1600 km che Trump aveva promesso di realizzare, ne sono stati realizzati “soltanto” 727 km.
Nonostante siano stati registrati dei cali nei flussi migratori e di droga (secondo alcuni esperti dovuti maggiormente al Covid-19 che al muro in sé), questa soluzione ha diviso la popolazione americana, messicana e la comunità internazionale.
In Messico, si sono registrati casi disumani di allontanamento di minori e divisione di interi nuclei familiari. Inoltre, il carico umano conseguente ai flussi dal Sud e Centro America, vengono assorbiti e mal gestiti dal solo Messico che vive una situazione umanitaria molto difficile.
La conseguenza principale di questa situazione è che i tentativi di passare la frontiera hanno portato ad un innalzamento dei prezzi da parte delle organizzazioni malavitose messicane che potrebbero ulteriormente arricchirsi sfruttando le necessità della popolazione.
L’elezione di Joe Biden ha cambiato l’orientamento governativo americano in materia. Il nuovo Presidente ha, infatti, bloccato immediatamente i lavori ed ha affermato che “gli Stati Uniti hanno il diritto e il dovere di proteggere i propri confini e proteggere il proprio popolo dalle minacce. Ma costruire un muro massiccio che attraversi l'intero confine meridionale non è una soluzione politica seria. È uno spreco di denaro che distoglie l'attenzione da vere minacce alla sicurezza della nostra patria. La mia Amministrazione si impegna a garantire che gli Stati Uniti abbiano un sistema di immigrazione completo e umano”.
Nonostante la doverosità e la carica umana di queste dichiarazioni risultino importanti affinché gli Stati Uniti non lascino da soli interi Paesi che sono già alle prese con numerose difficoltà socio-economiche acuite dalla pandemia, permangono due forti dubbi dietro a questa scelta governativa.
Il primo ha una portata di natura economica. Infatti, solitamente, i contratti stipulati tra il Governo e i privati prevedono un altissimo numero di clausole nel tentativo di coprire ogni genere di eventualità. La decisione di recesso da parte della Casa Bianca comporterà un certo numero di risarcimenti non di poco valore.
Il secondo, invece, di natura umanitaria. Infatti, nell’ultimo mese, è stato registrato un aumento vertiginoso di arresti e di espulsioni di Latino-americani. L’agenzia Customs and Borders Protection riferisce di 100 mila arresti (molti riguardano interi gruppi familiari), un numero che non veniva registrato dal 2019.
Per venire incontro a questa crisi, il Presidente Biden e il Segretario per la Sicurezza Nazionale, Alejandro Mayorkas, hanno ribadito la necessità di tener chiuso il confine e hanno invitato la popolazione a posticipare la loro partenza per gli USA a quando le condizioni dettate dalla pandemia cambieranno e saranno maggiormente favorevoli.
Può, veramente, questo appello essere la soluzione tampone per questo problema? In verità, è giusto affermare che si è davanti ad una vera e propria crisi, la prima per Biden, dato che sono proprio le attuali condizioni della pandemia ad imprimere una pericolosa e disperata accelerazione alle migrazioni.
E un semplice “restate a casa” non è sufficiente, anzi non rappresenta affatto una soluzione e colpisce che il Presidente abbia deciso di non far cadere la parte costruita dalla precedente amministrazione, ma solo di fermarne la costruzione.
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