top of page

Tra un passato violento e un presente complicato

Immagine del redattore: Vanni NicolìVanni Nicolì

L’Iraq è stato al centro delle cronache mondiali per molto tempo. I lunghi e sanguinosi conflitti che lo hanno visto coinvolto (dalla prima guerra del Golfo fino all’invasione statunitense, considerando e citando gli eventi più recenti) hanno tristemente segnato le sorti di un Paese che oggi è in cerca di sé stesso, di pace e stabilità per poter ripartire una volta per tutte.


Questo obiettivo, per quanto fondamentale, è ancora oggi molto lontano dall’esser raggiunto.


Nonostante alcuni deboli cenni di ripresa economica, il Paese osserva un triste divario, divenuto negli anni un vero e proprio abisso, tra la situazione economica del suo popolo, invischiato nella povertà, e quella della sua classe politica. Questa situazione, spinta dalla corruzione dilagante e dall’impossibilità per tutti di accedere ai servizi fondamentali, ha portato la gente a scendere nelle piazze e a manifestare fragorosamente.


Gli scontri con la polizia, le morti e la perseveranza delle posizioni dei manifestanti hanno portato alle dimissioni del Primo Ministro Adil Abdul-Mahdi che è rimasto in carica fino alla formazione di un nuovo Esecutivo.


La formazione del nuovo Governo di Mustafa Al-Kadhimi è riuscita a dare un certo equilibrio interno che però risulta essere davvero molto fragile.


I motivi sono numerosi. Dal punto di vista della politica interna, anche se il PIL dell’Iraq è dato in aumento dalle stime del Fondo Monetario Internazionale, si continua a parlare di un’economia che è basata quasi esclusivamente sulle risorse petrolifere e non in grado di estendere i propri benefici a tutta la popolazione per la promozione di istituzioni e servizi vicini alla gente.


Qualche settimana fa, nonostante il lavoro governativo per limitare gli effetti devastanti della pandemia, l’Iraq ha dovuto confrontarsi con ulteriori scontri interni organizzati dalla popolazione.


Stavolta, l’epicentro dei disordini è stata la città di Nassiriya e anche qui si è registrata una rivolta contro il Governatore della provincia, Nazem al-Waeli, a causa del deterioramento dei servizi pubblici e, più in generale, delle condizioni di vita.


La zona meridionale del Paese è quella maggiormente colpita da una soglia di povertà e sofferenza troppo elevata. Qui, circa un anno fa, sono iniziati gli scontri che portarono al cambio di Governo. Ora, la situazione potrebbe di nuovo sfuggire al controllo delle autorità irachene. La gente continua a chiedere i servizi necessari per la sopravvivenza quotidiana dato che si può avere corrente elettrica nelle case per poche ore durante il giorno e acqua potabile.


Onde evitare ulteriori disordini, il Primo Ministro ha inviato degli emissari a trattare con la popolazione, ma si avverte tra i manifestanti tutto lo sconforto e la sfiducia nei confronti della classe politica che li rappresenta.


Se questo è l’Iraq dal punto di vista socio-economico, la situazione, in termini di politica estera, è molto particolare e delicata.


Da tempo l’Iraq ha adottato un atteggiamento pragmatico e bilanciato, in grado di garantirgli uno status di mediatore all’interno di uno scacchiere regionale, quello medio-orientale, sempre più difficile da gestire. In una simile prospettiva, Baghdad ha assunto una posizione di neutralità nei confronti dei suoi principali partner internazionali, gli Stati Uniti e i Paesi del Golfo da una parte e l’Iran dall’altra. Ciò nonostante, tale politica è stata più volte messa a dura prova dall’inasprimento della crisi tra Washington e Teheran, con effetti visibili anche all’interno del territorio iracheno.


L’Iran viene visto dalla maggior parte del popolo iracheno come il loro nemico principale, criticandone l’interferenza negli affari e nella politica di Baghdad. La popolazione ha manifestato a più riprese tale avversione dando alle fiamme i consolati iraniani di Najaf e Karbala.


Inoltre, la situazione si è ulteriormente complicata a causa di un’attività anche dal versante anti-Usa. Questa vicenda ha seriamente rischiato di trascinare l’Iraq nel vivo della contesa fra Washington e Teheran. Sul finire del 2019, diverse basi irachene ospitanti le forze statunitensi hanno subito l’attacco da parte di milizie locali appoggiate da Teheran. La successiva risposta americana contro l’Iran in Siria ha accresciuto l’odio delle milizie irachene contro gli Stati Uniti e questo lascia il Governo iracheno in mezzo a due fuochi pronti a divampare da un momento all’altro.


L’opzione americana sembra essere quella privilegiata. Non da ultimo, la presenza di Washington nel Paese funge anche da deterrente per una potenziale e sempre possibile riorganizzazione delle forze di DAESH.

 

Fonti:


Fonte immagine:

 
 
 

Commentaires


Post: Blog2_Post

Modulo di iscrizione

Il tuo modulo è stato inviato!

  • Instagram
  • Facebook
  • LinkedIn
  • Twitter

©2020 di Prospettive Internazionali. Creato con Wix.com

bottom of page