
La Repubblica Ceca è uno Stato slavo occidentale di cui raramente sentiamo parlare. È difficile che i media nazionali riportino notizie accadute in quella regione montuosa e un po’ schiva.
Tuttavia, qualcosa sta succedendo ormai da qualche settimana e vale la pena spendere alcune righe in merito. La Repubblica Ceca ha avuto una storia nazionale complessa e turbolenta, tanto a causa dei vicini austriaci quanto per via della forzata convivenza con gli slovacchi che, a loro volta, avevano ingenti problemi con gli ungheresi. La Cecoslovacchia ha avuto fortissimi legami con l’Unione Sovietica, vista da una parte della popolazione come salvatrice, colei che ha impedito loro, in virtù dell’appartenenza alla grande famiglia etnica degli slavi, di cadere sotto la dominazione nazista.
La situazione attuale non si discosta in modo troppo netto dal secolo precedente.
La Russia putiniana, subentrata dopo il crollo dell’URSS, sebbene ci siano delle discontinuità importanti con il suo antenato, guarda con nostalgia al passato e non nasconde la speranza di creare alleanze politiche ed economiche con i Paesi slavi, soprattutto quelli balcanici che non sono ancora parte della Comunità Europea, proprio per strapparli al potere e al controllo delle istituzioni europee.
Durante il “V-E Day”, quando è stata celebrata la celebrazione della Giornata della Vittoria (contro il nazismo, evento che ha portato alla fine della Seconda Guerra Mondiale, l’8 maggio 1945), le tensioni con la Russia aumentavano. In quei giorni infatti, la Repubblica Ceca ha espulso decine di diplomatici russi (il numero preciso non è stato divulgato, si ipotizza siano 18) dal proprio Paese. La motivazione, si legge nei media locali, è quella di spionaggio e la loro partecipazione a quello che, nei giorni successivi, era stato etichettato come un terribile incidente, adesso si definiva come “sabotaggio mortale moscovita”.
Nel 2014 tutti i giornali cechi riportavano la notizia di un incidente dalle dinamiche poco chiare, avvenuto a Vrbetize in Moravia Orientale, in un deposito di armi. A seguito dell’esplosione di 50 tonnellate di munizioni, le finestre di tutta la zona furono distrutte e si registrarono due vittime, due operai cechi. Il governo diede la responsabilità dell’incidente ad un corpo militare russo, il GU, anche se quest’ultimo continua ad essere menzionato con la denominazione precedente, il GRU (Glavnoe razvedyvatel'noe upravlenie traducibile come “Direzione generale di intelligence”). Il GRU è l’agenzia di intelligence militare dello Stato maggiore delle Forze armate (prima sovietiche ora russe, slegato dal KGB) che mantiene le proprie unità delle forze speciali. Gli agenti ritenuti responsabili sono Anatolij Chepig e Aleksander Miškin, gli stessi accusati dell’avvelenamento di Sergei Skripal e sua figlia nel Regno Unito nel 2018.
Questa interconnessione di eventi preoccupa l’UE e gli Stati Uniti e mostra chiaramente quanto sia potente e pericolosa la Russia. Il Ministro degli Esteri britannico Dominic Raab ha detto che Praga ha "rivelato fino a che punto i servizi segreti russi andranno nei loro tentativi di condurre operazioni pericolose e maligne in Europa".
“Ora si è capito che l'attacco ceco era un avvertimento mancato. Dopo l'esplosione di Vrbetice, l'attenzione si è spostata sulla Bulgaria”, riportano i media balcanici.
I servizi segreti e la polizia locale sospettano che l’esplosione sia avvenuta per mano russa poiché si stavano immagazzinando armi provenienti dalla Bulgaria destinate alle forze ucraine che combattevano contro i ribelli sostenuti e foraggiati dalla Russia, nel Bacino del Donec, regione che si è dichiarata unilateralmente indipendente dall’Ucraina (il fiume Donec è anche noto come Donbass, da qui la “Guerra del Donbass”. Iniziata il 6 aprile 2014 – attualmente in corso).
Le tensioni tra i due Stati non sono mai state sopite. Durante l’annuale commemorazione nel cimitero di Olšany (il più antico e grande di Praga, costruito nel 1680) all’interno del quale ancora si staglia verso il cielo una statua di un militare dell’Armata rossa che imbraccia un mitra e porta in testa l’inconfondibile basco con una stella a cinque punte, falce e martello sul basamento di granito, per rendere omaggio ai 140.000 soldati sovietici che hanno perso la vita per rendere la libertà alla Cecoslovacchia nel 1945, gli scontri sono un habitué. Le fazioni sono due: chi sostiene Mosca e chi la rinnega. Michael Romancov, politologo specializzato in sovietismo, parlando a voce bassa afferma che, in realtà, solo 14 soldati sovietici avrebbero perso effettivamente la vita prendendo attivamente parte alla liberazione. Il resto ebbe incidenti stradali o morì a causa dell’eccessivo consumo di alcolici.
All’esterno del cimitero si accalcavano cechi filoccidentali, poliziotti e motociclisti filorussi, famosi per essere stati in passato adepti dei Lupi notturni ultranazionalisti russi i quali, complice le restrizioni covid, non possono più entrare nel Paese.
I due schieramenti si urlavano a vicenda. I cechi filo-occidentali sventolavano le bandiere della NATO e dell’UE. Inoltre, hanno realizzato un fantoccio in cartapesta raffigurante Putin nudo, portato fuori l’ambasciata, seduto su un wc dorato mentre stringe nella destra uno scopettino dorato e nella sinistra un rotolo di carta igienica, mentre urlavano slogan per la liberazione di Navalnji.
I rivali hanno risposto divellendo i fiori e facendo risuonare musiche sovietiche.
L’8 maggio la Russia ha dichiarato “Stati ostili” Rep. Ceca e Stati Uniti, poiché avrebbero compiuto azioni ostili contro la Russia, i suoi cittadini e le sue entità, come si legge in un decreto firmato dal Primo Ministro Michail Vladimirovič Mišustin. L’ambasciata Ceca potrà avere massimo 19 cittadini russi tra i suoi dipendenti, mentre quella statunitense nessuno, complice l’espulsione di 10 diplomatici russi e le sanzioni (aprile 2021) legale agli attacchi informatici e alle interferenze russe nelle elezioni presidenziali. Dmitrij Peskov, portavoce del Cremlino, si dice pronto a riprendere il dialogo.
Washington dice che questa è la peggiore crisi diplomatica degli ultimi otto anni, anche per le pressioni esercitate a gennaio dal neopresidente Joe Biden e al suo paragonare Putin ad un “assassino”.
La Russia ha rilanciato richiamando temporaneamente il suo ambasciatore dagli USA, espellendo 10 diplomatici statunitensi, vietando l’ingresso ad alti funzionari e all’ambasciata americana di assumere cittadini stranieri.
Il Ministro degli Esteri ceco ha aspramente criticato la notizia, definendola ““un altro passo nell'escalation delle relazioni, non solo con la Repubblica Ceca ma anche con l'Unione Europea e i suoi alleati”, aggiungendo che l’agire di Mosca "è assolutamente in contraddizione con la Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche, in particolare l'impegno dei firmatari di consentire il corretto funzionamento delle missioni diplomatiche sulla base del principio di non discriminazione tra i singoli Stati". Tempestivo il sostegno dell’ambasciata statunitense a Praga che in un tweet ha detto: "Siamo orgogliosi di stare al fianco del nostro fedele alleato, la Repubblica Ceca!".
Sin dalla sua salita alla Presidenza (2013), Milos Zeman ha provato a ribaltare la posizione filo-occidentale, portando lo Stato verso la Russia. Ha criticato le sanzioni UE contro l’annessione della Crimea, mentre hanno fatto inorridire le sue dichiarazioni (2017) in cui proponeva all’Ucraina di accettare un risarcimento per la perdita della regione. Dopo giorni di silenzio, ha detto di non aver prove contro la Russia e ha messo in guardia da “speculazioni e isteria”, invitando ad attendere il responso delle indagini.
I media statali russi erano lieti del comunicato. I politici dell'opposizione e molti illustri commentatori erano inorriditi. Il Presidente della Commissione parlamentare per gli Affari Esteri, Ondrej Vesely, durante un’intervista televisiva ha dichiarato che "questo è stato il più grande attacco al nostro territorio dal 1968", alludendo all'invasione sovietica di quell'anno. Zeman è stato accusato di disinformare e di assumere il ruolo di tirapiedi del Cremlino. Il giornalista Martin Fendrych ha scritto: "Zeman ha completato il tradimento della Repubblica Ceca".
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