top of page

Rohingya: umanità cercasi


Il fenomeno “Rohingya”, nel Sud-Est Asiatico, è solo uno dei casi più eclatanti ed inaccettabili di vera e propria pulizia etnica dei giorni nostri.


Costretti a fuggire dalla loro terra natale, la Birmania, questi sono oggi relegati nel nord del Bangladesh (al confine con la Stato birmano) in un luogo dove i beni di prima necessità scarseggiano. Come se tutto questo non fosse già uno scenario tremendo, nel 2020 questi territori sono stati colpiti duramente da forti inondazioni e frane che non hanno fatto altro che peggiorare la già difficile sopravvivenza di questa povera etnia.


Dal 2017, circa 1.000.000 di persone, di cui il 40% sotto i 12 anni e con una considerevole maggioranza di donne, anziani e bambini, sono dovuti emigrare sprovvisti di ogni genere alimentare e in condizioni disumane.


Le uniche organizzazioni ad essere intervenute in loro soccorso sono state varie ONG internazionali che cercano, dall’agosto del 2019, di denunciare il fenomeno con continue testimonianze, nella speranza che ci sia prima o poi una risposta concreta e unitaria da parte delle Nazioni Unite. L’obiettivo di queste azioni non è solo una maggiore sensibilizzazione, ma c’è anche un fine giuridico. Infatti, si desidera portare i responsabili di queste macabri crimini davanti ad un tribunale internazionale e permettere, così, il riconoscimento del diritto di cittadinanza a tutti i Rohingya.


I problemi per quest’ultimi sono cominciati nell’agosto del 2017 con gli scontri tra l’esercito birmano e i ribelli Rohingya. Dopo poche settimane, questi sono stati costretti a lasciare le loro case e a rifugiarsi al confine nord del Bangladesh nel campo di Kutupalong e al vicino campo Nayapara. Nonostante questa fuga, ancora oggi la popolazione è soggetta a delle vere e proprie persecuzioni da parte dell’esercito birmano.


Dietro queste azioni, ci sono delle questioni etnico-religiose poiché i Rohingya sono una minoranza etnica di religione musulmana di stampo sunnita non ancora riconosciuta tra le 135 etnie presenti in Bangladesh. In Birmania questo è considerato quasi un crimine poiché la religione nazionale è per il 90% buddista. Quindi un’azione simile verrebbe giustificata per salvaguardare l’identità e la purezza di un gruppo etnico o per tutelare una qualche forma di malsano nazionalismo?


Ad oggi si parla di vera e propria pulizia etnica come testimoniato dalle varie ONG operanti sul luogo in soccorso dei Rohingya. Infatti, vengono definiti come una delle minoranze più perseguitate al mondo, secondo Amnesty International, in quanto subiscono violazioni dei diritti umani dal 1978 e di conseguenza sono costretti a fuggire.


Inoltre, Save the Children raccoglie in un suo nuovo rapporto, intitolato “Gli orrori che non dimenticherò mai”, varie testimonianze dalle quali emergono solo alcuni degli orrori vissuti dai bambini Rohingya in fuga dal Myanmar. Si apprende, infatti, di donne e bambini bruciati vivi, stupri diffusi e purtroppo molto altro.


Ad oggi il Sud-Est asiatico e la Cina hanno circa 600 etnie cui è stato negato il diritto ad una patria e ad un proprio territorio autonomo. Queste lotte sono troppo spesso cause di conflitti, come purtroppo accade in altri Stati del pianeta, e sono anche poco seguiti dal punto di vista mediatico.


È necessario un lavoro ancor più intenso per poter dare a questa silenzioso massacro la risonanza che merita per poter spingere la comunità internazionale a mobilitarsi con impegno.

 
 
 

Comentarios


Post: Blog2_Post

Modulo di iscrizione

Il tuo modulo è stato inviato!

  • Instagram
  • Facebook
  • LinkedIn
  • Twitter

©2020 di Prospettive Internazionali. Creato con Wix.com

bottom of page