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Primi passi verso una soluzione comune


Il fenomeno sociale delle migrazioni transfrontaliere è divenuto, negli anni, un elemento che ha interessato qualunque area del Mondo senza alcuna esclusione. Dall’America fino all’Asia, passando per l’Europa e l’Africa, sono molte le motivazioni che spingono milioni e milioni di individui a lasciare le loro terre natie e cercare fortuna o, “semplicemente”, una vita migliore.

Volendoci concentrare sul versante europeo, non possiamo non affermare come il fenomeno migratorio sia cambiato moltissimo nel corso degli anni.


Infatti, in termini prettamente numerici, è aumentato il numero di persone che si avventurano in condizioni deprecabili e a dir poco rischiose nel mar Mediterraneo per raggiungere le coste di Paesi europei che rappresentano per queste sfortunati un approdo sicuro e l’inizio di una vita lontana dall’indigenza, dalle malattie e dalle guerre.


Nonostante l’Europa sia stata, nel corso della sua lunga storia, un territorio di partenze e arrivi da parte di tantissime e diversissime etnie, l’UE non è stata sempre in grado di regolare con un’organizzazione stabile e condivisa i flussi che hanno attraversato Paesi come Malta, Italia o Grecia. Questi, infatti, rappresentano per le rotte migratorie del Maghreb il primo vitale punto di approdo verso la libertà.


Senza rischiare di cadere in inutili populismi o, peggio, in evitabili luoghi comuni, è necessario un intervento comunitario serio per permettere la condivisione di un carico migratorio sempre crescente che non può essere affidato a pochi Stati solo perché geograficamente vicini alle coste africane.


Fino a questo momento storico, l’Unione Europea ha regolato la forte ondata migratoria attraverso la Convenzione di Dublino che è stata aggiornata nel tentativo, non ben riuscito, di organizzare e dividere in maniera equa gli arrivi dalle varie rotte (perché non esiste soltanto il canale africano).


La prima versione dell’accordo, datata 1990, diede le prime norme in materia di asilo. Infatti, era previsto i Paesi competenti a ricevere ed esaminare le richieste di asilo dei migranti fossero proprio quelli d’arrivo. La devoluzione a questi ultimi era giustificata dal fatto che fossero i primi a dare l’ingresso nell’Unione.


Successivamente, la Convenzione fu revisionata all’indomani del Trattato di Amsterdam ma il principio fondamentale dell’accordo, ovvero quello della domanda di asilo affidata al Paese di primo approdo, fu pienamente confermato. La stesura di Dublino II (nome della seconda versione della Convenzione) non ha modificato di molto la situazione precedente senza venire incontro alle necessità dei Paesi al confine con Africa e Asia.


Un ulteriore allontanamento dall’effettiva e difficile realtà migratoria che coinvolge l’intera Europa e, in particolare, i Paesi meridionali del continente, arriva dalla Convenzione di Dublino III. Nello specifico, questo accordo, siglato nel 2003 (ovvero in un periodo in cui i flussi migratori avevano già iniziato ad essere più difficili da gestire), continua a non garantire un’equa distribuzione delle responsabilità tra gli Stati membri.


Si avverte, in queste ultime versioni del trattato, una mancanza di volontà di uscire dalla logica del “territorio di primo approdo”. Per anni, questo criterio ha continuato a dimostrare la sua inadeguatezza specie davanti a flussi che sono diventati sempre più numerosi. A questa situazione, si sono aggiunti anche i contrasti diplomatici tra porti aperti e chiusi tra quei Paesi che sono stati lasciati in prima linea a gestire una vera e propria emergenza umana e demografica (vedesi le continue tensioni tra Italia e Malta).


Ora, sembra che a Bruxelles abbiano avvertito e compreso la necessità di cambiare non tanto l’ennesimo accordo, quanto il principio che ispira la legislazione.


Lo scorso settembre, l’Unione Europea ha iniziato i lavori per il “Pact on Migration on Asylum”.


Questo nuovo sistema normativo, che ad oggi racchiude più proposte di legge (ben cinque), punta a definire un nuovo approccio europeo al fenomeno migratorio, intervenendo in particolare sulla questione relativa agli arrivi irregolari di migranti nei Paesi del Sud Europa.


Oltre a questa importante questione, l’Unione intende sviluppare e accrescere le proprie relazioni con i “Paesi chiave” di origine e transito dei migranti, come la Turchia o gli Stati del Maghreb. L’UE incoraggia partnership che rafforzino sia l’economia di questi Paesi (con investimenti in commercio, istruzione, ricerca), sia le loro capacità concrete di evitare le partenze verso l’Europa. L’obiettivo, come indicato dalla Commissione, è stipulare accordi convenienti per entrambe le parti. Nello specifico, gli aspetti da sviluppare sono la protezione dei rifugiati, i corridoi per la migrazione legale e i rimpatri.


La seconda parte di questa novità normativa prevede un deciso rafforzamento dei controlli alla frontiera con un meccanismo che lavori maggiormente alla prevenzione degli arrivi irregolari sul territorio europeo. Il tutto sarà reso possibile attraverso un considerevole aumento dei finanziamenti a FRONTEX.


Infine, il terzo e ultimo aspetto di questa norma riguarderà la tanto desiderata divisione dei migranti e la solidarietà europea. La realizzazione di questi punti sarà possibile attraverso la verifica della meta che i migranti regolari intendono raggiungere con un’attenta lettura di ogni richiesta di asilo avanzata. La condivisione dei migranti permetterà agli Stati europei costieri di dividere questo importante e difficile onere con altri che, per la loro posizione geografica, sono più lontani dalla realtà migratoria.


Riuscire a mettere in piedi e a sviluppare questo accordo sarebbe di fondamentale importanza per stabilire equilibrio all’interno dell’Unione. La vera sfida sarà convincere anche quei Paesi da sempre ostili ad aprire le loro frontiere agli immigrati. In verità, però, sarebbe anche arrivata l’ora per questi ultimi di adeguarsi alle regole comunitarie e non rappresentare sempre un ostacolo ad un’Unione veramente unita.

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