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Orizzonti geopolitici giapponesi


Le dimissioni dell’ex Premier Shinzo Abe, a causa di problemi di salute legati ad una rettocolite ulcerosa, hanno lasciato in eredità al neo Primo Ministro Yoshinide Suga una grande responsabilità istituzionale verso il Paese e una lunga e difficile serie di nodi di politica interna ed estera che saranno fondamentali per le sorti del Giappone.


I problemi interni a Tokyo sono ormai noti da diverso tempo. Il Paese vive da alcuni anni una delicata e difficile fase economica come dimostrato dalla presenza di un debito pubblico dalle più che considerevoli proporzioni, un’economia in serie difficoltà a causa della forte e insostenibile competizione cinese e una popolazione che invecchia piuttosto rapidamente a causa dei recenti risultati negativi in termini di nascite con un conseguente e preoccupante calo demografico negli ultimi cinque anni.


Al netto di queste problematiche, il Paese ha un fortissimo bisogno di riforme strutturali in ambito sociale ed economico. Su questo versante, inevitabile l’aggravio dato dal peso delle Olimpiadi nel bilancio statale. La mancanza di pubblico e il loro rinvio a questa estate ha acuito le già grandi difficoltà economiche nazionali.


Concentrandoci, invece, sul versante della politica estera, il Giappone ha già iniziato a prendere delle contromisure importanti nei confronti di Pechino. Ormai, è ben noto il legame nipponico con Washington, già forte con la presidenza di Donald Trump (interessato ad avere alleati nella sua personale lotta alla Cina) e rafforzato ulteriormente con il recente tour diplomatico asiatico da parte dell’amministrazione Biden.


Il legame con gli Stati Uniti, però, non frena il desiderio giapponese di provare ad uscire dall’ombrello protettivo americano e cercare un’autonomia militare che permetta allo Stato di fronteggiare due grossi problemi: il primo, ovviamente la Cina e, il secondo, la sempre pericolosa Corea del Nord.


Questo progetto politico di Tokyo trova conferma nella proposta nipponica di entrare nel Five Eyes inglese. Questa collaborazione è stata iniziata grazie all’approfondito dossier esplorativo che i servizi segreti giapponesi hanno elaborato sulla situazione degli Uiguri in Cina e che hanno condiviso con quelli inglesi e americani.


Il contrasto alla Cina affianco degli Stati Uniti era l’arma in più di Tokyo per uscire (o quanto meno provarci) dalla fastidiosa e ingombrante ombra portata dal gigante cinese. Se con Trump, questo comune progetto aveva portato a dei vantaggi per entrambi i Paesi a tal punto da parlare di un progetto definibile “Belt and Road al contrario”, bisognerà capire quali sono i veri obiettivi della nuova amministrazione insediatasi alla Casa Bianca.


Sicuramente, le difficoltà negoziali che gli USA hanno incontrato con la Cina nel summit tenuto qualche settimana addietro in Alaska sembrano essere l’ennesimo capitolo di una saga, nei rapporti tra i due principali attori politici mondiali, fatta di schermaglie, incomprensioni e contrasti.


Il comune destino geopolitico nippo-americano, però, non si esaudirebbe soltanto nel contrasto a Pechino.


Il Giappone, morfologicamente caratterizzato dall’essere un arcipelago, ha sempre dovuto guardare ad altri Paesi per poter disporre di materie prime fondamentali come il petrolio. Tokyo ha sempre mostrato molto interesse e un’accurata attenzione nei confronti del Medio Oriente a tal punto che le ambasciate giapponesi nell’area sono a dir poco efficienti e vantano un eccellente inserimento nel territorio e legame con i principali attori locali.


Questo, sommato alle già positive relazioni con Washington, potrebbe significare la prospettazione di un’agenda politica comune anche in Medio Oriente e in Iran. Perché, nonostante l’alleanza con gli Americani, i Giapponesi hanno sempre preferito mantenere una posizione neutrale nei conflitti religiosi interni agli schieramenti islamici e questo li proietterebbe ad essere dei perfetti interlocutori e mediatori nell’area.


Inoltre, il recente rafforzamento del progetto americano del Quadrilateral Security Dialogue che nell’ultimo summit ha deciso di puntare forte sul settore delle terre rare e della lavorazione di metalli (settore, quest’ultimo, in cui la Cina regna incontrastata) potrebbe permettere a Tokyo di potenziare la propria leadership nell’area indo-pacifica, seppur sotto l’occhio vigile degli Stati Uniti.


Al netto di questa analisi, è possibile affermare che il destino di Tokyo è nelle sue mani. Il coraggio politico necessario per rilanciare la propria economia e il desiderio di voler diminuire la sfera di influenza cinese nella propria politica estera sono i due fattori che possono portare il Giappone ad uscire da un’empasse socio-politica che, con il Covid e l’arrivo della nuova variante nazionale, rischia di peggiorare ulteriormente.

 

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