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Occhi chiusi e ipocrisia nelle relazioni internazionali

Immagine del redattore: Vanni NicolìVanni Nicolì

Recentemente il mondo delle relazioni internazionali ha vissuto dei sussulti nei quali le tanto decantate pace e diplomazia sono incredibilmente venute meno e hanno lasciato spazio ad una franchezza e ad una schiettezza che hanno reso tutti noi, destinatari finali di qualsiasi accordo o trattato di diritto internazionale, increduli e sgomenti.


Saranno l’isteria generale e mondiale che la pandemia da Coronavirus sta ancora portando con sé e la non risolvibilità delle crepe economiche che stanno distruggendo lentamente e inesorabilmente il tessuto sociale di ogni Stato del mondo le vere e autentiche cause di questi “colpi di testa” diplomatici?


Andiamo con ordine e analizziamo le vicende.


La prima scossa di assestamento geopolitica e negoziale è stata registrata a Washington e ha avuto un’eco incredibile fino a Mosca. Durante un’intervista rilasciata alla rete americana della Abc News, il presidente Joe Biden ha apertamente e, oserei dire, tranquillamente definito il suo collega Vladimir Putin un assassino.


La reazione russa non si è fatta attendere. Il Cremlino ha immediatamente richiamato in patria il proprio ambasciatore. Questa, secondo la prassi del diritto internazionale, rappresenta la prima mossa di una pericolosa escalation che porta alla guerra. Da Mosca, questo pericolo è stato scongiurato perché il Governo ha dichiarato che obiettivo del richiamo è fare chiarezza sullo stato delle relazioni tra i due Paesi.


A distanza di qualche settimana da questo incredibile scontro verbale, sempre gli Stati Uniti hanno avuto un interessante e a dir poco agitato summit in Alaska con la Cina. A conferma della tensione palpabile tra i due Paesi, le due delegazioni si sono lanciate pesanti e gravi accuse. I Cinesi sono stati descritti come dei violatori assidui dei diritti umani, mentre gli Americani sono stati dipinti come i rappresentanti di una democrazia falsa che intende essere da esempio per tutti gli altri Paesi, ma capace, allo stesso tempo, di reprimere nell’odio e nel sangue la sete di giustizia della popolazione afroamericana.


Alla fine, come se questo scenario non fosse già di per sé sufficiente a certificare una certa instabilità, è arrivato il tanto famigerato “caso della sedia” che ha coinvolto la Turchia e l’Unione Europea. Il Presidente turco Erdogan, spinto da ragioni politiche o personali, non ha fatto accomodare accanto a sé e a Charles Michel Ursula von der Leyen ed ha obbligato quest’ultima ad un divanetto lontana dai due. Il Presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, ha preso le parti della Presidente della Commissione e ha etichettato pubblicamente il premier di Ankara come dittatore.


Ora, è fuori discussione che questi tre aventi abbiano altrettante conseguenze differenti sia per la portata degli effetti (molto più preoccupante una nuova guerra fredda russo-americana che una crisi italo-turca a livello geopolitico). Ma bisogna veramente stupirsi di queste dichiarazioni?


La risposta, secondo il modesto e sindacabile parere di chi scrive è si, ma soltanto per la loro pubblicità.


Perché, dietro a questi avvenimenti, c’è una verità di fondo. Non è una domanda furba o provocatrice ad aver spinto Biden contro Putin così come non è una ‘semplice’ sedia che fa qualificare in un modo o nell’altro l’operato politico di Erdogan.


Però, considerazioni del genere sono uscite solo adesso allo scoperto, dopo anni di scontri e negoziati falliti.


Come mai tutti, senza essere dotati di una laurea in scienze politiche o discipline affini, sappiamo queste cose, ma le ascoltiamo solo ora?


La spiegazione è semplice ed è da collegarsi a due fattori comunissimi: denaro e interessi.


Perché come affermato da Draghi, questi Paesi o questi personaggi politici servono, sono utili.


L’Italia ha stipulato un accordo commerciale con la Cina (la famigerata “nuova via della seta”) e non si è certamente preoccupata di metterlo in discussione, in un secondo momento, dopo quanto emerso sul trattamento inflitto agli Uiguri. Infatti, gli investimenti promessi da Pechino sono fondamentali per le imprese italiane.


Il modo discutibile con cui Putin è salito alla guida di Mosca è facilmente apprendibile dai numerosi documentari che sono stati messi in onda sul KGB e l’Unione Sovietica. Nonostante ciò, la Germania (tra i primi Paesi promotori dell’accordo Nord Stream 2) potrebbe anche deludere i moniti della Nato e degli USA sul non proseguire questa trattativa. Eppure, Angela Merkel è stata tra le prime leaders europee a comminare sanzioni economiche alla Russia dopo i fatti nel Donbass e in Crimea.


Non si parli poi dei famigerati e onnipresenti Stati Uniti d’America. Un vecchio detto, ripetuto quasi all’infinito in film e comizi, recita “Dio benedica l’America”. Si, ma di quale America parliamo? Di quella che ha vinto la segregazione razziale (forse solo dal punto di vista legislativo e mai sociale) e che ha aiutato l’alleata Europa a rialzarsi dopo la Seconda Guerra Mondiale? Oppure ci riferiamo a quel Paese che ha invaso arbitrariamente il Vietnam, ha sganciato due bombe nucleari sul Giappone e ha usato un importante pretesto umanitario per assecondare la sua egoistica sete di petrolio in Iraq?


Guardandosi intorno, tutti i Paesi, chi più chi meno, hanno i loro scheletri nell’armadio. La vera ipocrisia, forse, deriva da quella frase troppo spesso ricorrente che afferma che “sono i vincitori a scrivere la storia”. Ergo, sono loro a dettare il buono e il cattivo tempo nell’ordine geopolitico mondiale e a fissare i parametri che regolano le maggiori organizzazioni internazionali.


Si pensi anche alla stessa Unione Europea che nonostante la strenua difesa di valori democratici ha ammesso e continua a lasciare impuniti i continui blocchi di voto in materia di immigrazione e di accoglienza di Paesi come Ungheria o Polonia.


Al netto di queste considerazioni, una sola eredità di pensiero se possibile. Ricordiamo che avere meno tragiche eredità sulla coscienza non significa poter dettare leggi, ma forse dare un minimo senso di responsabilità ad altri Paesi perché tutti sono utili. Infatti, la sopravvivenza politica di uno Stato passa da accordi e intese strategiche con chiunque risulti partner fondamentale.


E a tal proposito, ci si domanda quanto l’Italia, con le sue aziende presenti in Turchia, potrà fare a meno di certe risorse economiche che oggi più che mai diventano fondamentali per la salvezza dell’economia di Roma.

 

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