
La guerra al narcotraffico e allo strapotere dei cartelli centro e sud americani è stato uno dei principali elementi diplomatici che hanno unito, in un passato sia lontano che recente, gli Stati Uniti al resto del continente.
Questa comune lotta, però, rischia di avere uno strappo importante se non adeguatamente rivisitata. Infatti, circa un mese fa, il premier messicano Obrador ha minacciato di chiudere, una volta per tutte, le frontiere con gli Stati Uniti per questa collaborazione. In particolare, il Governo del Tricolor ha espresso la sua indignazione di fronte al modus operandi della DEA (Drug Enforcement Administration), accusando i suoi agenti di agire con eccessiva libertà e ignorando completamente la cabina di regia decisa con le autorità messicane come dimostrato dalla scarsa e non preventiva comunicazione delle loro azioni e decisioni.
Inoltre, i rapporti tra i due Paesi potrebbero subire un ulteriore scossone per la vicenda legata a Genaro Garcia Luna. L’ex Ministro messicano della Pubblica Sicurezza, considerato in patria un eroe per il suo impegno alla lotta contro il narcotraffico, fu arrestato un anno fa a Dallas con l’accusa di tirare le fila del narcotraffico, portandolo ad intascarsi molto denaro con l’altissimo prezzo del drammatico sangue versato. Il Messico ha chiesto la sua estradizione, gli USA non hanno ancora fatto sapere nulla.
Per affrontare questo grande problema di stabilità socio-politica e di sicurezza nazionale e internazionale, è necessario avere una profonda e rispettosa collaborazione. Questo elemento diventa ancor più importante per la nuova ed ennesima degenerazione del narcotraffico.
Dalle indagini e dai blitz delle forze di polizie messicane si è scoperti la nascita di quella che è stata battezzata come DAESH 2.0. È emerso, infatti, un proficuo e fitto giro di affari tra i cartelli messicani e gli uomini del cosiddetto “Califfato”. Con le sconfitte subite da quest’ultimo in Medio Oriente, è terminato il loro controllo sui pozzi petroliferi dell’area, sono cessate le opportunità di contrabbando del greggio con la Turchia e di opere storiche e archeologiche. Questo elemento ha spinto il sedicente Stato islamico a reinventarsi, puntando su uno dei settori più redditizi del mondo illegale: il mercato della droga. Questo comporta, non solo, intercettare molti proventi ma, allo stesso tempo, entrare all’interno di una rete che mette in collegamento numerose e potentissime organizzazioni criminali (cartelli colombiani o ndrangheta su tutte) che, per la loro vastità e raggio d’azione, devono essere definite transnazionali e non più semplicemente internazionali.
Nello specifico, sembra che ci siano cellule jihadiste attive nello stato di Chihuahua, nel Messico settentrionale, proprio a pochi chilometri dal confine con gli Stati Uniti. I jihadisti riuscirebbero ad oltrepassare il confine con l'aiuto dei narcotrafficanti e avrebbero, attraverso il passaggio per le vie della droga, la possibilità di raggiungere gli obiettivi dei loro futuri attacchi sul suolo americano. In particolare, una delle basi dello Stato islamico si troverebbe a circa otto chilometri dal confine, in una zona conosciuta come Anapra, appena ad ovest di Ciudad Juárez. Un'altra, invece, avrebbe sede a Puerto Palomas, una città dello stesso Stato messicano, da sempre territorio ostile alle forze di polizia nazionali.
I vari report della DEA e della fondazione Judicial Watch hanno confermato l’intensificarsi di questi rapporti e la loro pericolosa centralizzazione nella città di Juarez che, geograficamente parlando, si trova di fronte alla città texana di El Paso. Inoltre, dalle suddette analisi, trapela che il cartello messicano maggiormente coinvolto con i gruppi terroristi sarebbe proprio quello di Sinaloa, considerato dalla United States Intelligence Community come l’organizzazione più forte al mondo nel traffico di droga con un volume di affari sviluppato in tutti e cinque i continenti.
La scoperta di questi legami non deve, purtroppo, sorprendere.
Prima di tutto perché è possibile vedere dei punti in comune nel modus operandi di queste seppur diverse organizzazioni criminali. Poi, c’è l’elemento caratterizzato dal vedere negli Stati Uniti un nemico comune. In seguito, il Dipartimento di Stato americano ha reso noto che anche Al-Quaeda ed Hezbollah avrebbero legami con i cartelli del Centro e del Sud America. Rispettivamente, i primi controllerebbero il mercato e il traffico degli stupefacenti nella regione del Sahel occidentale, mentre i secondi sarebbero coinvolti nel traffico della cocaina e nel riciclaggio di denaro con Sudamerica, Africa occidentale, Europa ed Asia.
Ora, al di là degli attriti istituzionali e diplomatici che legano due Paesi come Messico e Stati Uniti, non si può minimamente pensare che questa sia una questione limitata solo a questi due attori geopolitici. Il fenomeno del narcotraffico e l’allargamento dei proventi di queste attività illecite ad organizzazioni terroristiche che hanno bisogno di riorganizzarsi è una minaccia che interessa l’intera comunità internazionale. Un problema transnazionale, ribattezzato narcoterrorismo, merita e necessita una risposta comune e condivisa.
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