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Le grandi manovre nel Caucaso

Immagine del redattore: Vanni NicolìVanni Nicolì

Le pendici del Caucaso sono state, ancora una volta, teatro di un conflitto di larga portata che non può certo essere delimitata ai due Paesi chiamati in causa. Nello specifico, tra la fine di settembre e la metà di novembre del 2020, si è assistiti ad uno scontro tra l’Armenia e l’Azerbaijan. Questo dramma militare è stato ribattezzato “guerra dell’Artsakh” o anche “seconda guerra del Nagorno-Karabakh”.


Lo scontro tra le due ex repubbliche sovietiche ha mietuto oltre duemila vittime e si è concluso con la resa dell’Armenia e la presa delle truppe azere della strategica citta di Shusha. Accanto a questo evento militare, questa conclusione è stata anche favorita dal cessate il fuoco arrivato grazie al ruolo mediatore della Russia.


L’accordo di pace, firmato il 9 novembre, ha garantito il trasferimento di tutti e sette i distretti occupati dall’Armenia, vicini al territorio del Karabakh, all’Azerbaigian; la divisione dello stesso Karabakh in due parti controllate rispettivamente da Armenia e Azerbaijan; il diritto al ritorno degli sfollati interni e dei rifugiati negli anni ’90 alla loro regione di appartenenza; l’apertura di un corridoio dall’Azerbaigian alla sua Repubblica autonoma di Nakhchivan e al confine con la Turchia; il collegamento del Karabakh all’Armenia attraverso il corridoio Lachin. Tuttavia, questo accordo non ha risolto la questione centrale dello status finale del Karabakh, che sarà deciso successivamente attraverso i negoziati tra i due Paesi coinvolti nel conflitto.


A parte la truculenza dello scontro (come si evince dal confronto tra il numero delle vittime con quello della popolazione dei due Paesi coinvolti), non si possono negare le importanti conseguenze politiche derivanti da questa conclusione. Infatti, la rapida invasione della Georgia nel 2008 (in risposta all’occupazione di Tbilisi della regione dell’Ossezia del Sud) ha trovato in questa ingerenza un seguito importante nella volontà di mantenere, da parte di Mosca, la propria presenza nell’area.


Nello specifico, la Russia ha volutamente favorito la posizione azera. La volontà di Putin è quella di non spingere verso l’Occidente il Governo di Baku per l’assoluta importanza dell’Azerbaijan nell’ambito del settore energetico.


Dal canto suo, l’Azerbaigian non ha considerato la Russia un nemico, come invece fatto da Georgia e Ucraina. Il tutto, nonostante Baku non abbia aderito all’Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva (CSTO), guidato proprio dalla Russia, e all’Eurasian Economic Union (EAEU). Inoltre, a differenza della Georgia, l’Azerbaigian non ha mai espresso pubblicamente il suo desiderio di aderire alla NATO. Per questo motivo, il Paese azero rappresenta ancora una grande opportunità di espansione geopolitica per i disegni del Cremlino.


Inoltre, sempre sul fronte azero, assecondare la presenza e la posizione di Mosca è un punto fondamentale per la sopravvivenza politica dell’Azerbaijan. Infatti, dopo il lascia passare che Baku ha dato alle truppe russe nella già citata invasione del 2008, gli Azeri hanno ben compreso che avere buoni rapporti con la Russia è un vantaggio presente e futuro data la continua presenza del Paese nell’area caucasica. Questo tornaconto politico è talmente tanto importante da permettere un allontanamento dell’Azerbaijan dalla cooperazione con l’Europa.


Lo stesso conflitto è frutto diretto di un oculato corso politico azero e della vicinanza della Russia a questi due Stati. Infatti, l’Armenia fa assoluto affidamento sulla Russia per aiuti economici e militari in quanto caratterizzata da un’economia molto debole. L’Azerbaijan, dall’altra parte, ha potuto sviluppare un’economia più fiorente e un potenziale militare molto più efficiente ed efficace sia grazie ai buoni rapporti diplomatici con la Russia e la Turchia, ma anche grazie alle risorse naturali (il gas su tutti) che hanno e stanno arricchendo l’economia del Paese.


Nonostante i numerosi accordi economici che legano Erevan a Mosca, l’attuale governo armeno non rientra nelle grazie della Russia. Il Cremlino, infatti, poteva tranquillamente esercitare tutta la sua influenza sul precedente Capo del Governo. Oggi, invece, con il rovesciamento di quell’esecutivo e con la politica dell’attuale Presidente Pashinyan, l’Armenia è distante dall’avere un pieno appoggio russo ed ecco spiegata il sempre più crescente appoggio all’Azerbaijan.


In questo intricato vortice geopolitico, si deve anche registrare la presenza della Turchia. Quest’ultima rappresenta sempre più un Paese di particolare lettura geopolitica. Dopo gli attriti diplomatici e politici con la Russia, il Governo di Ankara, a partire dagli anni ’90, ha iniziato a intessere rapporti sempre maggiori con Mosca a tal punto da presentarsi, allo scoppio del conflitto azero-armeno, come partner della stessa Russia. Una prova evidente deriva proprio dall’appoggio militare che Erdogan ha concesso all’Azerbaijan, dando continuità alle posizioni politiche del Cremlino.


Queste grandi manovre non hanno, però, interessato gli altri grandi attori geopolitici.


Infatti, sia l’Unione Europea che gli Stati Uniti non sono intervenuti e non hanno denunciato i fatti del conflitto tra Armenia e Azerbaijan. La motivazione? Pochi interessi nell’area (eccessivamente vicina al gigante russo) e nell’Armenia, piccola e povera repubblica lasciata da sola. Inoltre, ha colpito anche la neutralità dell’Iran che, nonostante gli interessi nell’area caucasica, l’attenzione alle mosse politiche della Turchia e la fastidiosa vicinanza tra Israele e Azerbaijan, ha dato voce ai circa 17 milioni di Armeni che ospita e che hanno chiesto di supportare Baku nella vicenda bellica.


Al di là dell’immobilismo altrui, il Caucaso si è mostrato ancora una volta un teatro geopolitico perfetto per rinsaldare vecchie alleanze che da quest’area faranno sentire la loro eco in altre parti del Mondo dove però, stavolta, gli interessi in gioco potrebbero essere decisamente maggiori.


 

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