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La movimentata Pasqua di Amman

Immagine del redattore: Valerio ManzoValerio Manzo


Sabato 3 e domenica 4 aprile, in Giordania, circa venti persone sono state arrestate con l’accusa di aver partecipato alla preparazione di un colpo di Stato finalizzato a destabilizzare il regno di Abdullah II. Sono coinvolte figure di alto profilo della società giordana, legate alla famiglia reale o comunque appartenenti al mondo politico-istituzionale del Paese, come l’ex Ministro delle Finanze (Bassem Ibrahim Awadallah). Gli occhi, in particolare, sono puntati sulla posizione di Hamzah bin Hussein, ex principe ereditario e fratellastro del re.

Il principe, insieme ad altri, "progettava di minare la sicurezza e la stabilità" della Giordania, ha detto il vice primo ministro e ministro degli Esteri, Ayman Safadi, che ha parlato anche del coinvolgimento di “elementi stranieri e oppositori". Per questo "i servizi di sicurezza, attraverso indagini approfondite, hanno a lungo monitorato le attività e i movimenti" delle persone fermate.


Petra, l’agenzia di stampa ufficiale del Paese, ha subito smentito il fermo del principe Hamzah, ma questi è riuscito a far arrivare un video alla Bbc nel quale ha riferito di aver ricevuto la visita del capo di stato maggiore della Giordania, che gli ha intimato di non lasciare la propria abitazione e di evitare contatti con l’esterno. Hamzah, inoltre, ha denunciato “l’incompetenza e la corruzione” dei regnanti: “Gli interessi finanziari e personali dell’élite al potere sono più importanti della vita, della dignità e del futuro dei 10 milioni di giordani che vivono qui. Sono stato accusato di complotto e di cospirare con potenze straniere, è così che si diffama sempre chi decide di contestare”. Il giorno dopo, lunedì 5 aprile, il principe è intervenuto su Twitter dichiarando la propria intenzione di disobbedire agli ordini militari: “Ovviamente non obbedirò quando mi si dice che non sono autorizzato a uscire, a twittare, a comunicare con le persone e che mi è permesso solo vedere la mia famiglia. Quando il capo dell'esercito ti dice queste cose, penso che sia inaccettabile”.


La tensione è stata attenuata dall’intervento mediatore dell’influente principe Hassan, zio di re Abdullah, che ha riunito tutti i principi della casa reale (compreso Hamzah) e li ha convinti a giurare fedeltà al sovrano. Un’ulteriore conferma della risoluzione della crisi interna è arrivata ieri, mercoledì 7 aprile, direttamente per bocca di re Abdullah. Il sovrano ha garantito ai suoi cittadini “che la sedizione è stata stroncata sul nascere” e, in riferimento al ruolo avuto dal fratellastro Hamzah, ha dichiarato: “Il principe Hamzah è insieme alla famiglia nel suo Palazzo, sotto la mia protezione. Il principe si è impegnato davanti alla sua famiglia a proseguire il cammino dei nostri padri e dei nostri nonni, a essere fedele al suo messaggio e a mettere l'interesse della Giordania, della sua Costituzione e delle sue leggi sopra ogni altra considerazione".


Per comprendere le dinamiche interne alla famiglia reale e la rivalità tra re Abdullah e il suo fratellastro, il principe Hamzah, è necessario fare alcuni passi indietro. La Giordania è governata dalla dinastia Hashemita, una famiglia che secondo la tradizione discende direttamente da Maometto. L’uomo che ha maggiormente contribuito allo sviluppo, alla stabilità e alla crescita del Paese è stato re Hussein (il genitore che hanno in comune l’attuale re e il principe Hamzah), che ha ricoperto la carica di sovrano dal 1952 al 1999 e viene considerato il fondatore della moderna Giordania. È grazie a lui se oggi Amman (la capitale) può vantare saldi rapporti sia con i Paesi del mondo arabo che con l’Occidente. La causa dell’ostilità tra Abdullah e Hamzah va ricercata proprio nella volontà di re Hussein: nelle ultime settimane di vita, decise di nominare il primo come proprio successore al trono e il secondo come principe ereditario, sebbene quest’ultimo fosse il più istruito e da alcuni considerato il figlio prediletto dell’allora re (poiché nato dal matrimonio con la sua più longeva moglie, Nur). A ciò si aggiunga che, divenuto re, Abdullah II tolse il titolo di principe ereditario ad Hamzah per assegnarlo a suo figlio (Hussein bin Abdullah), un bambino di dieci anni. Da quel momento in poi, come ha scritto il Financial Times, i due fratellastri non si parlano in privato, sebbene la famiglia reale dia all’esterno sensazione di forte unità e armonia. Secondo una fonte ritenuta vicina alle vicende dei palazzi giordani, il principe Hamzah “non si è mai ripreso dal fatto di non essere diventato re, e sembra che pensi di essere destinato a diventarlo”.

Hamzah, che ha studiato nel Regno Unito e poi ad Harvard (USA), è ora un membro piuttosto influente e benvoluto nella società giordana: ha tentato in ogni modo di porsi come discendente del compianto re Hussein, cercando di somigliargli tanto in termini di comportamenti quanto in termini fisici e di immagine. Esattamente come suo padre, Hamzah ha stretto solidi rapporti con i capi tribali beduini giordani, che compongono buona parte dell’esercito e dei servizi di sicurezza. Le società tribali, insomma, riconoscono in lui una figura carismatica e lo considerano il degno erede del padre, a maggior ragione ora che i consensi del re in carica sarebbero in calo, complice una situazione economica non esattamente rosea e numerosi casi di corruzione. Non è ancora chiaro cosa sia realmente accaduto nel weekend pasquale, ma secondo il Financial Times il re avrebbe avuto notizia che il fratellastro “era passato dal criticare il re ad agire contro di lui” e, a quel punto, avrebbe ordinato l’ondata di arresti.


Nonostante sembra che la crisi sia stata contenuta e superata, l’attenzione di tutto il mondo resta concentrata su Amman. L’intrigo di famiglia è immediatamente diventato un problema di natura internazionale, che ha agitato le cancellerie degli altri Paesi mediorientali e dei tanti Paesi occidentali che considerano la stabilità della Giordania (secondo Paese del mondo arabo a normalizzare le proprie relazioni con Israele, dopo l’Egitto) un fattore fondamentale per la sicurezza dell’intera regione, complice la sua posizione geografica strategica, che la rende una vera e propria “zona cuscinetto”. Il Paese, infatti, confina con Israele e la Cisgiordania, la Siria, l'Iraq e l'Arabia Saudita. Ospita, inoltre, truppe statunitensi, milioni di palestinesi e 600000 rifugiati siriani.


La Giordania, dunque, è un Paese fondamentale per molti. Lo è in primis per Israele, vicino ingombrante, che non ha mai avuto problemi dal suo fronte orientale. Non è un caso che il 4 aprile il ministro della difesa israeliano, Benny Gantz, abbia sottolineato l’interesse di Israele a conservare l’alleanza con il regno giordano: “È un Paese con il quale siamo in pace. C’è un’importanza strategica nelle nostre relazioni. Dobbiamo fare di tutto per preservare questa alleanza, che esiste da 30 anni. È negli interessi della sicurezza di Israele e faremo qualsiasi cosa per assistere economicamente la Giordania".

La stabilità della Giordania, uno dei pochissimi Paesi della regione a non essere stato toccato dalle Primavere arabe, è stata sempre apprezzata dall’Occidente e, in particolar, dagli Stati Uniti, che infatti si sono affrettati a esprimere pieno sostegno alla monarchia di Abdullah II definendolo “un alleato chiave”. Gli USA, in passato, hanno spesso usato il territorio giordano per operazioni di terra e aeree in Medio Oriente, anche per il contrasto all’ISIS. Per Biden, inoltre, che sta cercando di proseguire sulla linea, intrapresa da Trump, degli Accordi Abramo (normalizzazione delle relazioni tra Israele e Paesi arabo-sunniti) è fondamentale la stabilità di un Paese che sa dialogare con ambo le parti.

In via ufficiale il sostegno alla monarchia è arrivato anche dall’Arabia Saudita, che ha reso noto il suo pieno sostegno alle “decisioni del re di Giordania Abdullah II e del principe Hussein bin Abdullah per proteggere la sicurezza e la stabilità del Paese contro ogni tentativo di sabotaggio”. È un fatto particolarmente rilevante, considerando che tra le due famiglie, i Saud e gli Hashemiti, non scorre buon sangue, soprattutto per via della contesa sul controllo dei luoghi santi di La Mecca e Medina. In effetti, da più parti si sono levate voci su un possibile coinvolgimento saudita nella vicenda che ha scosso la casa reale giordana: il principe Hamzah, infatti, gode notoriamente dell’appoggio dei regnanti sauditi e l’ex Ministro delle Finanze, appena arrestato, è stato nominato nel 2016 nuovo Inviato Speciale responsabile delle relazioni con l’Arabia Saudita: grazie a questo incarico, l’ex Ministro ha certamente avuto modo di stringere legami con il principe ereditario saudita Mohamed Ben Salman e con gli Emirati Arabi Uniti.

"Solidarietà" è stata manifestata dalla Lega Araba, mentre la Turchia ha espresso "preoccupazione" e "forte sostegno" alla pace e alla prosperità di un Paese "chiave per la pace in Medio Oriente". L'Iran ha sottolineato "l'importanza della pace e della stabilità in Giordania" e "si oppone a qualsiasi interferenza straniera".


In poche parole, tutte le potenze straniere interessate alla vicenda hanno denunciato l’accaduto e manifestato la massima solidarietà alla corona hashemita. Alla luce di ciò, sembrerebbe difficile ipotizzare che realmente qualche Paese straniere possa avere l’interesse a rovesciare una monarchia che garantisce una certa stabilità in una regione in costante fibrillazione. L’interesse di tutti, insomma, appare quello di evitare che in Medio Oriente si apra un nuovo scenario di crisi. Un’eventuale destabilizzazione della Giordania avrebbe conseguenze potenzialmente molto gravi in tutto il Medio Oriente, poiché porterebbe con sé una probabile e imprevedibile competizione fra gli altri Paesi dell’area per influenzare l’esito della lotta di potere interna alla casa reale. Inoltre, è interesse comune evitare che le faide interne alla monarchia si traducano in manifestazioni di piazza e ulteriori tensioni popolari, soprattutto alla luce di una situazione economica aggravata dagli effetti della pandemia da coronavirus, che ha portato il tasso di disoccupazione a un preoccupante 24%.

 

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