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La guerra silenziosa

Immagine del redattore: Vanni NicolìVanni Nicolì


Quante volte sono state avanzate accuse nei confronti della comunità internazionale per non essere intervenuta in determinate aree geografiche o per aver ignorato a lungo conflitti intestini lunghi e sanguinosi.


Nonostante la forza e l’organizzazione di grandi potenze mondiali o di enti sovranazionali (primo su tutti le Nazioni Unite), non è sempre facile riuscire ad ottenere notizie su guerre e conflitti intestini, a vagliare la loro affidabilità e, di conseguenza, riuscire ad intervenire per ripristinare la pace e la sicurezza.


Questa fin troppo diffusa situazione è ciò che caratterizza il Tigray, regione a nord dell’Etiopia.


Le radici di questo conflitto, che vede contrapposti il Governo centrale e la suddetta regione, sono profonde. Per comprendere le ragioni dello scontro bisogna risalire fino al 2018, anno in cui si insedia alla guida dell’Etiopia Abiy Ahmed, attuale Presidente del Paese. Il nuovo Premier è un oromo e inizia gradualmente ad emarginare i Tigrini che, fino ad allora, erano stati alla guida dell’Etiopia. Il Tplf (il Fronte per la liberazione dei Tigrini) lascia così la coalizione dell’Esecutivo, si concentra sulla sua regione e a livello nazionale perde tutto il suo peso politico.


Successivamente, nel settembre 2020, il Governo di Addis Abeba ha deciso di rinviare le elezioni generali a causa del Covid (questa la motivazione ufficiale) mentre, nonostante la pandemia, nel Tigray si sono comunque tenute delle elezioni locali. Il Tplf ha ottenuto la maggioranza dei voti. Da questo esito, sono iniziate delle provocazioni reciproche che sono sfociate, il 4 novembre, in un conflitto aperto dopo che il Tplf ha tenuto un agguato contro una caserma etiope.


Il vero dramma, ritornando ai problemi di conoscibilità a livello internazionale, è che dei combattimenti si sa davvero poco. Ai giornalisti non è permesso entrare nella regione. Le truppe etiopi, che vantano l’appoggio di quelle eritree (la cui presenza è stata confermata solo nei giorni scorsi) e dalle milizie amhara (l’etnia più diffusa in Eritrea), hanno impiegato un mese per occupare il Tigray. Nonostante a fine novembre il Premier Abiy abbia dichiarato la fine delle ostilità, sacche di resistenza continuano a portare avanti il conflitto sotto la guida dei vertici del Tplf ormai nascosti sulle montagne.


Lo stesso Abiy, che nel 2019 aveva ricevuto il Premio Nobel per la pace per i suoi sforzi nel risolvere pacificamente il conflitto con l’Eritrea, ha dovuto ammettere l’esistenza di una guerriglia sfiancante nella regione. Pertanto, il conflitto è ancora lontano dal definirsi concluso.


L’isolamento mediatico presente intorno alla regione ha creato una situazione umanitaria difficile. Stephane Dujarric, portavoce del segretario generale dell’ONU, ha affermato che le notizie che arrivano dal Tigray raccontano di attacchi contro civili e infrastrutture, di saccheggi e atti vandalici di centri sanitari e scuole e anche di diversi casi di violenza sessuale e di genere. Le Nazioni Unite, insieme ai partner umanitari, aumentano la risposta e assistono più di un milione di persone. Inoltre, cresce costantemente il numero dei rifugiati tigrini che hanno trovato un posto sicuro nel Sudan. Secondo le autorità di Khartoum, 67.000 tigrini, per lo più donne e bambini, sono arrivati nel Paese ​​dallo scoppio della guerra.


Accanto a questi dati, la Commissione etiope per i diritti umani (EHRC) e l’Alto commissario dell’ONU per i diritti umani hanno annunciato un’inchiesta congiunta a seguito di testimonianze su esecuzioni e violenze su civili.


L’EHRC ha fatto sapere che soldati eritrei avrebbero ucciso un centinaio di civili ad Axum a novembre dopo aver effettuato un’indagine sul campo. Questo, però, non sarebbe un caso isolato. Massacri di questo genere si sarebbero registrati anche in altri centri e nei campi profughi dove vivevano gli Eritrei fuggiti dal regime di Asmara.


Le ultime conferme su massacri indiscriminati ed esecuzioni extragiudiziali le ha fornite un’inchiesta della Bbc che accusa direttamente i militari etiopi. In ogni caso, sul Tigray, Etiopia ed Eritrea sembrano avere interessi coincidenti: una conferma indiretta è data dal viaggio ad Asmara di Abiy per un punto con il presidente eritreo Isaias Afwerki.


Accanto a questa alleanza, si sono rincorse voci su un possibile coinvolgimento degli Emirati Arabi, subito smentito. Sembra certo quello della Somalia in appoggio alla confinante Etiopia.


Urge trovare un accordo per porre una fine diplomatica ad un conflitto che rischia di cadere un una spirale di violenza ancor più grave di quanto già non sia. Un punto di partenza molto importante potrebbe essere rappresentato dalla decisione del Governo eritreo di ritirare le proprie truppe dall’area.

 

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