
Era il 2015 quando il Mondo accoglieva felicemente e con sollievo la notizia della firma di un accordo storico, entrato nella memoria collettiva con il nome di JCPOA (Joint Comprehensive Plan of Action).
A Vienna, l’Iran, l’Unione Europea e i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU (Stati Uniti, Cina, Russia, Francia e Regno Unito) hanno regolato alcuni obblighi importanti per Teheran. Tra questi: l'eliminazione delle riserve di uranio a medio arricchimento, il taglio del 98% delle riserve di uranio a basso arricchimento e la riduzione di due terzi delle centrifughe a gas per i successivi tredici anni.
Invece, l’Iran potrà, nei prossimi quindici anni, arricchire l'uranio solo fino al 3,67%. Gli Iraniani, inoltre, hanno pattuito di non costruire alcun nuovo reattore nucleare ad acqua pesante per lo stesso periodo di tempo. Le attività di arricchimento dell'uranio saranno limitate a un singolo impianto utilizzando centrifughe di prima generazione per dieci anni. Altri impianti saranno convertiti per evitare il rischio di proliferazione nucleare.
Accanto a questi impegni, l'Agenzia internazionale per l'energia atomica (AIEA) avrà regolare accesso a tutti gli impianti nucleari iraniani per verificare che Teheran rispetti tutti gli impegni presi. Tutte queste limitazioni, però, fanno da contraltare all’impegno americano ed europeo di far cessare le sanzioni economiche imposte proprio a causa del già nominato programma nucleare.
Le decisioni della amministrazione Trump di uscire unilateralmente da questo accordo e di ripristinare le precedenti sanzioni (a fronte di nessuna violazione da parte dei Paesi firmatari, soprattutto per quanto riguarda l’Iran) ha destato un forte scossone politico. Teheran, di contro, ha reagito annunciando l’aumento dell’arricchimento dell’uranio dalla soglia del 3,67% al 5%. Passando, per un attimo, la parola a discipline quali la chimica e la fisica, avere dell’uranio arricchito significa poter contare su una risorsa in grado di produrre proiettili capaci di sfondare la corazza di veicoli da combattimento. Non una risorsa da poco.
Inoltre, l’Iran ha anche aumentato il numero di centrifughe per aumentare le quantità di arricchimento del nucleare e velocizzare tale processo.
La risposta di altri Paesi non si è fatta attendere. Gli Stati Uniti hanno inviato assetti navali e aerei e Israele, da sempre avverso all’Iran, sembra esser stato l’autore dell’assassinio dello scienziato iraniano Mohsen Fakhrizadeh, considerato una delle menti a capo del programma nucleare iraniano e del suo rilancio.
A dicembre del 2020, l’AIEA ha fatto sapere che non solo l’Iran sta continuando a munirsi di ogni strumento utile a proseguire con questa volontà, ma che sta anche dotando i propri siti nucleari di strumenti e tecnologie in grado di resistere ai bombardamenti aerei.
L’inizio del nuovo anno, parliamo del 2021 ovviamente, è già stato scandito da notizie a dir poco destabilizzanti.
Prima di tutto Teheran ha fatto sapere che prevede di arricchire il proprio uranio fino al 20% di purezza raggiungendo, in questo modo, un livello eguagliato in un periodo precedente alla firma dell’accordo del 2015.
Se è vero che, con questi dati, siamo lontani dalle soglie necessarie ad ottenere una bomba atomica, bisogna anche ammettere che tale livello consentirebbe la produzione della cosiddetta “bomba sporca”, un ordigno atomico dotato di una deflagrazione che non genera gli stessi effetti di calore e onda d’urto di una bomba atomica classica, ma in grado di contaminare con materiale radioattivo una vasta area, a seconda delle condizioni ambientali e climatiche presenti.
Ora, la domanda da porsi è se e quanto l’Iran avrà l’intenzione di continuare questa sua politica di espansione dei progetti nucleari.
È notizia di qualche giorno fa che Teheran ha severamente minacciato Israele intimando che al minimo errore da parte di Gerusalemme nei confronti dell’Iran, quest’ultimo raderà al suolo le città di Tel Aviv e Haifa.
La speranza mondiale, perché questa non è una minaccia geograficamente delimitata, è, inevitabilmente, negli Stati Uniti e nella nuova amministrazione Biden. Serve un cambio di rotta diplomatico, urge trovare un accordo per limitare la produzione e la lavorazione del nucleare.
Un ritorno al vecchio JCPOA o un suo miglioramento sembrano le soluzioni più facili da raggiungere rispetto al riuscire a costruire un dialogo tra Israele e Iran ormai sempre più divisi dalle rispettive politiche di influenza nell’area medio-orientale. Il Mondo intero rimane in attesa.
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