
Quando parliamo del Rojava, facciamo riferimento ad una regione nel nord della Siria che, come il resto del Paese, è stato teatro dei sanguinosi eventi che hanno caratterizzato (e continuano a farlo) la guerra civile siriana.
Questa parte del Paese, a differenza di altri territori dipendenti da Damasco, è direttamente influenzata sia dall’azione dei movimenti sociali curdi che dalla mal distribuita presenza dell’esercito siriano nell’area. Questi due fattori hanno avviato una vera e propria rivoluzione grazie alla fondazione clandestina dello YPG (Unità di Protezione Popolare) che è diventata una componente importante del conflitto siriano e ha instaurato nella regione una delle roccaforti libere e autonome dalla Siria.
Dopo la formalizzazione di questo territorio autonomo, avvenuta de facto, il Rojava è stato assorbito nella sfera di influenza politica del Kurdistan Occidentale.
Ovviamente, come in ogni conflitto, una variazione territoriale di questo genere ha dovuto affrontare tanti ostacoli per vedere una sua effettiva affermazione e la popolazione della regione, nonostante l’ardore dimostrato con il coinvolgimento negli scontri a fuoco sia di uomini che di donne, ha pagato un caro prezzo in termini di sangue scontrandosi con le truppe di Bassar al-Assad che con i miliziani del Califfato.
A questi forti e feroci nemici, si è anche aggiunto la volontà degli Stati Uniti di Trump di lasciare il nord-est della Siria e di concentrarsi prevalentemente nell’area orientale del Paese a difesa dei giacimenti di gas naturale e petrolio. Questo ha reso la resistenza curda ancor più complicata perché ha comportato un preoccupante lascia passare per i Turchi, da sempre avversari dei Curdi.
A parte l’incredibile volontà di voler difendere con forza l’affermazione di questa “isola” felice all’interno di un oceano di violenza e sofferenza umana, ciò che merita di essere ancor più sottolineato è lo spirito di cambiamento che alimenta questi territori (riferendoci non solo al Rojava, ma anche alla più ampia regione curda). La regione siriana, infatti, è diventata un autentico “laboratorio socio-politico” che rappresenta un caso di eccezionale e incredibile affermazione di democrazia e diritti umani laddove questi elementi non sono mai stati concessi o, purtroppo, ormai persi e dimenticati da anni a causa del sangue che sta macchiando un territorio storico come quello siriano.
Per comprendere e apprezzare la portata politica innovativa del Rojava, si deve partire dal concetto di Stato-nazione. Infatti la regione ha completamente abbandonato questo strumento di governance e ha fatto emergere un progetto nel quale sono state messe in discussione idee politiche come il progresso basato su un vorace industrialismo, uno scellerato sfruttamento delle risorse territoriali, il sistema liberale di giustizia e l'ideologia e il concetto stesso di Stato.
Nonostante queste grandi basi politiche, il Rojava si trova oggi a fronteggiare una grave situazione di isolamento politico e sociale.
L’intervento russo, grazie a delle trattative tra Putin ed Erdogan, ha portato il “cessate il fuoco” e l’allontanamento curdo dal confine turco (per questo sono stati fissati 30 km di lontananza dal Paese). Questa decisione ha portato la regione siriana ad essere circondata da connazionali alle dipendenze di Damasco, dagli eserciti russo e turco e, come fatto trapelare da Ankara, da una zona cuscinetto, in origine curda, che la Turchia vuole usare per concentrare tutti i profughi siriani presenti nel proprio Paese.
Ad un’emergenza strategico-bellica di tale portata, si aggiunge anche quella dettata dalla diffusione del Coronavirus. Alcuni test effettuati di recente nella regione hanno dimostrato che c’è un altissimo tasso di positività che si attesta al 50% e questo significa che, data l’incredibile propagazione della pandemia, occorreranno altri test perché l’effettivo valore della positività potrebbe essere ancor più elevato.
Inoltre, la situazione è ulteriormente complicata anche a causa della chiusura, a gennaio, voluta dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, del valico di Yaroubiyah che si estende dall’Iraq al nord-est della Siria. In questo modo Russia e Cina, che appoggiano il governo siriano di Assad, vogliono che gli aiuti umanitari passino esclusivamente attraverso Damasco, isolando il resto del Paese.
Da parte sua, il governo siriano non riconosce pienamente il Rojava e sfrutta l’emergenza sanitaria come arma politica contro i Curdi. Infatti, gli attori umanitari impegnati in Siria riescono con moltissime difficoltà a fornire aiuti alla popolazione regionale.
Il Rojava, quindi, vive ogni giorno in grande difficoltà, ma cl desiderio di realizzare un grande sogno sociale. Qui, infatti, non si combatte solo per il riconoscimento di una nazione curda, ma soprattutto per creare una realtà di speranza, fondata su concetti rivoluzionari quali il municipalismo libertario, l’ecologia sociale, l’uguaglianza di genere ed un modello di autogoverno popolare che possa far convivere pacificamene diverse etnie.
Questi nobili ideali trovano ogni giorno migliaia di persone, curde e non solo, come dimostrato dai tanti volontari stranieri giunti negli anni in Siria a sostegno del Rojava, pronti a contribuire a questa causa nella speranza di dare una luce in un angolo del pianeta fin troppo e a lungo martoriato da guerra e morte.
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