
In queste ultime settimane, stiamo assistendo alla consumazione costante di un dramma umano che sta sconvolgendo delle vite, un Paese e che dovrebbe destare in modo serio e definitivo le coscienze politiche nazionali e di tutte le organizzazioni internazionali e sovranazionali.
La terribile situazione umanitaria che i migranti stanno vivendo nel campo profughi di Lipa, in Bosnia-Erzegovina, ha a dir poco del terribile.
Già lo scorso 23 dicembre, il campo aveva subito un incendio che aveva devastato le tende e i container nei quali vivevano ben 1500 persone tutte assiepate in un piccolo lembo di terra, nella speranzosa attesa di poter varcare il confine con la Croazia ed entrare in Unione Europea.
Alcuni report hanno mostrato come in una piccola e improvvisata tenda (dotata, tra l’altro, di un velo sottile) dormano dieci persone costrette a farsi la doccia con acqua gelata e con dei bagni chimici molto distanti e non tutti regolarmente funzionanti.
In caso di malessere o sintomi influenzali, il massimo che è possibile ricevere sono solo dei banali e non tanto efficaci antidolorifici.
Alcuni volontari presenti nel campo hanno dichiarato che l’esercito bosniaco avrebbe dovuto provvedere alle tende. Però, nonostante l’urgenza dettata da questa disumana condizione, a prevalere, ancora una volta e imperterrita, è la logica della politica e dello scaricamento delle responsabilità. Perché la Bosnia non fa parte dell’UE e non dovrebbe curare la situazione di individui che non vogliono rimanere in territorio bosniaco ma che vorrebbero riversarsi immediatamente nel territorio dell’Unione e ricevere tutte le protezioni, assistenziali e giuridiche, che questa può dare.
La cosa che desta maggiore incredulità è il fatto che si sta etichettando questa situazione come un’emergenza, un qualcosa di imprevedibile che ha colto l’intera Europea impreparata. La verità è assolutamente diversa e ben lontana da questa descrizione. Infatti, sembra che un accordo tra UE e Bosnia fosse già stato siglato affinché fosse Sarajevo a preoccuparsi di dotare questo campo di tutte i beni e le necessità del caso.
Inoltre, la rotta balcanica è un percorso migratorio già ben noto alle forze politiche e di polizia (sia a carattere nazionale che internazionale).
Davanti a questo drammatico silenzio politico, l’OIM (Organizzazione internazionale per le immigrazioni) è stata abbandonata al suo destino. La volontà di abbandonare questa barca tristemente destinata ad affondare, nel mero tentativo di spostare i riflettori della politica internazionale su questa parte di mondo, è stata momentaneamente accantonata in nome della necessità di ridare umanità ad un posto e a delle persone che l’hanno ormai persa.
I numerosi migranti e i non pochi volontari che lavorano nel campo si trovano isolati e lontani da tutto e da tutti. Perché all’indifferenza politica si aggiunge anche quella topografica del governo bosniaco. Il campo è stato realizzato a 30 km di distanza dalla città più vicina e questo dato esprime la chiara volontà di Sarajevo di non aver a che fare con un problema che, per quante sfumature possa avere, non ne ha alcuna che possa interessare il Governo bosniaco.
Questa volontà è anche ravvisabile nel fatto che non esiste, ad oggi, nessun piano nazionale per la costruzione di centri per i migranti ma che, a seconda delle necessità, edifici vecchi e fatiscenti (per lo più ex fabbriche e magazzini) vengono riadattati per ospitare queste sventurate persone.
La speranza è che l’Unione trovi dei canali di comunicazione con la Bosnia veramente efficaci che permettano di comprendere le vere crepe nel sistema politico di Sarajevo e di trovare le giuste contro misure.
Per un Paese ancora oggi dilaniato dalla diversità, in cui le anime serbe, bosniache e musulmane hanno sempre più difficoltà a dialogare tra loro, l’Unione Europea dovrebbe puntare con decisione ad un ruolo più importante dell’OIM. Bruxelles ha già attivato dei finanziamenti (si parla di 88 milioni di euro) per Sarajevo ma la Bosnia, in tutta risposta, dovrebbe risolvere questa emergenza con un ufficio dedito alle politiche di asilo composto solo e soltanto da quattro persone.
Per quanto duro possa apparire un messaggio del genere, Bruxelles dovrebbe imparare da questo disinteresse a mostrare maggiormente i muscoli e dovrebbe anche ridiscutere i negoziati per un futuro ingresso nell’UE da parte della Bosnia-Erzegovina.
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