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In fondo, è solo uno sport… giusto?



Il mondo del calcio e la nostra società hanno subito uno shock incredibile tra domenica 18 aprile e il seguente lunedì. Nell’arco di 48 ore, ciò che è sempre stata solo una suggestione o un’eco lontana, si è trasformata in una realtà concreta e suffragata da un apposito sito internet che sancisce l’ufficiale istituzione della Super League.


Per intenderci, 12 clubs tra i più ricchi d’Europa e del mondo (Chelsea, Manchester City, Manchester United, Arsenal, Tottenham, Liverpool, Inter, Milan, Juventus, Real Madrid, Barcellona e Atletico Madrid) hanno deciso di avviare una competizione calcistica internazionale con un solo e dichiarato obiettivo: quello di fare più soldi.


Tra tifosi scettici e squadre infuriate da tale strappo, il torneo è presto diventato una notizia di portata mondiale. Facile, si può pensare. Il calcio è lo sport più praticato al mondo e la fama di questa decisione è soltanto il riflesso di un interesse così diffuso. E invece non è solo questo, c’è molto di più.


E questo diventa facilmente comprensibile dalla presenza, in questa diatriba, di tantissime istituzioni politiche nazionali e internazionali che sono intervenute e hanno obbligato i presidenti dei club tornare sui loro passi e ricucire lo strappo con la dirigenza sportiva dell’Uefa.


Nello specifico, tra i principali protagonisti del mondo politico, c’è stato l’intervento del Parlamento Europeo, nella persona del Presidente David Sassoli, il Commissario all’Economia della Commissione Europea Paolo Gentiloni e il capo dei portavoce della Commissione, Eric Mamer, hanno definito questo nuovo torneo contrario ai principi dello sport europeo basato su valori quali autonomia, apertura, solidarietà e interdipendenza delle federazioni internazionali.


Lo sport, come risulta dalla tempestività di questi interventi, è un affare anche politico e non solo.


D’altronde, chi non ricorda la famigerata “Ping Pong Diplomacy” che permise una distensione dei rapporti tra Pechino e Washington e fece da apripista alla visita di Nixon in Cina nel 1972.


Anche per questo motivo, il famigerato Trattato di Lisbona (che assume le veci di una Costituzione per Bruxelles) stabilisce, all’articolo 6 lettera e, i valori integrativi (non solo tra le persone, ma anche tra gli Stati membri) di qualunque genere di attività sportiva e, infine, l’articolo 165, il più importante ai fini della seguente trattazione. Questo afferma l’interdipendenza delle federazioni sportive europee che godono di autonomia regolamentare. In pratica, l’UE può intervenire per dirimere gravi situazioni di conflitto in seno ad un’organizzazione come la Uefa, per esempio, ma lo fa senza che il suo intervento possa definirsi vincolante.


Ma quali sono gli interessi economici e politici che hanno sollevato un vero e proprio caso mediatico?


L’intervento di Macron e Johnson in difesa dei campionati nazionali è un chiaro esempio di difesa degli interessi economici nazionali. Privare le massime serie calcistiche francesi e inglesi dei loro clubs maggiormente rappresentativi significherebbe un tracollo vertiginoso dei prezzi dei diritti televisivi che, sommati alle conseguenze della pandemia, potrebbe comportare la scomparsa di molte squadre che non hanno la medesima forza economica. Negli ultimi due anni, in Inghilterra, si è assistiti al fallimento e al forte indebitamento di alcuni storici club come il Bury FC o il Wigan Athletic o il Macclesfield Town. Niente calcio, per queste piccole realtà cittadine, significa niente economia e niente posti di lavoro per moltissime persone.


Ampliando i nostri orizzonti, però, con riferimento ai grandi palcoscenici calcistici europei, le riflessioni sulla piena affermazione di questa manifestazione sono davvero numerose e contrastanti.


Prima di tutto, aggiramento della Brexit. Con la separazione del Regno Unito da Bruxelles, la Premier League (massima divisione inglese) avrebbe assistito ad un tracollo finanziario dei suoi principali clubs, costretti, per volere della federazione nazionale, a non spendere cifre folli sul mercato per nuovi giocatori. Nuova lega più nuovi sponsor equivalgono a nuovi e maggiori introiti. In nome di diritti televisivi da nove cifre in poi, Regno Unito e Unione Europea dovrebbero ridiscutere le modalità di ingresso nel suolo britannico di squadre appartenenti a Paesi membri dell’Unione.


In secondo luogo, la presenza di un garante economico-finanziario come JP Morgan. Il colosso bancario americano ha sempre visto nel Regno Unito il terreno fertile per le proprie transazioni e lo stabilimento dei suoi capitali. Il referendum britannico, però, ha comportato una svalutazione della sterlina rispetto all’euro e questo ha spinto la banca a spostare, con la grande gioia dei Tedeschi e degli Unionisti, il proprio asset societario (valutato per la cifra di 200 miliardi di euro) in Germania.


Ora, l’istituto bancario, grazie ai legami con suo ex dipendente di nome Ed Woodward (vice-presidente da poco dimessosi del Manchester United) aveva deciso di sponsorizzare la competizione con delle cifre astronomiche che potranno ulteriormente lievitare negli anni. Un’operazione del genere avrebbe potuto comportare un terremoto bancario in Germania di enormi conseguenze. Con il trasferimento in questo Paese, la JP Morgan è entrata di diritto nell'elite dell’universo bancario teutonico (dietro a colossi come Deutsche Bank o HVB). Ma, un investimento del genere avrebbe potuto sovvertire le gerarchie finanziarie portando al primo posto una banca non tedesca che, seppur assoggettabile alle leggi del mercato e concorrenziali nazionali ed europee, potrebbe squilibrare la leale concorrenza presente in settore fondamentale di uno Stato chiave per l’intera UE.


Un’altra partita fondamentale, sempre fuori dal rettangolo di gioco, l’avrebbe giocata la coerenza politico-economica dell’Unione Europea, con un’attenzione fondamentale alla penisola iberica.


A differenza di molti club europei, in Spagna e non solo, una squadra di calcio professionista deve la sua fondazione e il suo sostentamento all’iscrizione dei tifosi come soci del club.


Questi ultimi devono rimpinguare periodicamente le casse del loro club. Questo significa che i tifosi che hanno investito nella loro squadra, devono essere resi partecipi dei guadagni del loro club, seppur in piccolissime dimensioni dato che la loro quota partecipativa è decisamente piccola.


Una società calcistica, al di là del Paese di provenienza, è una società che deve finire ogni stagione con degli utili e un bilancio positivo. Eventuali perdite sono (o sarebbero) punite con l’esclusione dalle coppe internazionali e dalle massime serie nazionali.


Per queste ragioni, un club di calcio è come un’azienda e pertanto subisce la legge europea che vieta l’erogazione di finanziamenti statali perché sarebbero visti come veri e propri aiuti di Stato in grado di falsificare le leggi concorrenziali comunitarie.


Nonostante la particolarità iberica, quattro squadre dell’attuale massima serie spagnola, Barcellona, Real Madrid, Osasuna e Athletic Bilbao, hanno ricevuto dal 1990 al 2016 vantaggi fiscali da Bruxelles perché non erano definite società a scopo di lucro.


Una legge spagnola adottata nel 1990 obbligava tutti i club sportivi professionistici a trasformarsi in società sportive per azioni, a eccezione dei club che avessero realizzato un risultato di bilancio positivo negli esercizi precedenti l'adozione di suddetta legge. Questi quattro clubs avevano pertanto deciso di continuare a operare nella forma di persone giuridiche senza scopo di lucro, usufruendo, in tal modo, di un'aliquota specifica di imposta sui loro profitti che si traduce in tasse più basse. Tra questi figura un club, quello madrileno, che è stato il primo ad acquistare un giocatore pagando 100 milioni di euro e di un altro che ha incassato più del doppio di questa cifra con la cessione di un solo giocatore.


Le successive difficoltà economiche della Spagna hanno obbligato a chiedere anche alle suddette squadre il medesimo livello di tassazione e solo nel 2021 la Corte Europea ha annullato la decisione della Commissione ed ha chiesto a queste squadre la restituzione dei privilegi economici ricevuti per 26 anni.


Ma con due grandissime e vincenti squadre come queste, pesantemente indebitate e con dei bilanci a dir poco in rosso, come si fa ad esigere tali somme di denaro? Per non parlare delle altre due squadre.


Ecco che l’UE rischia di cadere in contraddizione con sé stessa. Da una parte, un potenziale terremoto bancario di enormi proporzioni; dall’altro, gli introiti di una nuova coppa che potrebbero accontentare le proprie e notevoli pretese fiscali, ma pesantemente osteggiate dal popolo del pallone che è quello che vota e costituisce il tessuto demografico europeo...

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