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Il rischio desertificazione


I numerosi e pericolosi cambiamenti climatici che il nostro pianeta sta vivendo negli ultimi anni hanno drammaticamente catalizzato l’attenzione mondiale sulle numerose problematiche che potrebbero diramarsi come dirette conseguenze di questi fenomeni.


Tra questi rischi, spicca in modo molte forte, sia per l’Europa che per l’Italia, quello legato alla desertificazione, oggetto di studi e analisi già da diversi anni.


Il nostro Paese è uno dei firmatari dell’UNCCD (Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla desertificazione) e da questo documento è possibile comprendere come l’elemento fondamentale del processo fisico e geografico non sia dato da un’espansione del deserto, inteso come ecosistema. Il rischio desertificazione è determinato da fattori economici e umani che comportano la degradazione delle risorse naturali e del potenziale vitale dei terreni che provocano una grave aridità di queste.


Per intenderci, attività come il disboscamento, la deforestazione, il consumo delle falde acquifere e il depauperamento delle acque marine rappresentano dei gravi acceleratori per la desertificazione.


Indagini e ricerche della FAO hanno già messo in evidenza come tale minaccia sia in espansione. Infatti, ci sono dei territori che, a causa di un’aridità che può essere definita naturale, mostrano la scelta di tecniche di agricoltura e allevamento molto più intensive rispetto al passato. Questo, inevitabilmente, sta causando un ulteriore peggioramento di queste aree che a breve potrebbero essere private completamente di qualsiasi genere di risorsa.


A supporto di quanto detto, il WWF ha riferito che molti habitat naturali come la savana o gli ambienti tropicali hanno drasticamente perduto le loro originarie estensioni per colpa di questo fenomeno.


Davanti a queste gravi ipotesi, ci si è chiesti quali possano essere le soluzioni per ovviare all’avanzata di questo problema. La risposta, direttamente elaborata dal Millennium Ecosystem Assesment, ha portato alla previsione di quattro diversi scenari.


Il primo, definito “proattivo”, è un sistema con il quale si immagina di avere dei tassi di crescita economica costanti, ma molto graduali, nel tentativo di garantire un utilizzo delle risorse naturali morigerato e rispettoso della natura; il secondo, definito “globalizzato-proattivo”, rappresenta uno scenario in cui la tecnologia verde ne fa da padrona garantendo, in questo modo, una pressione sui fattori di degrado molto debole se non stazionaria al ribasso; il terzo, di “orchestrazione globale”, vede un mondo interconnesso nel quale tutti possono avere eguale accesso ad ogni genere di risorsa; il quarto e ultimo, definito “ordine della forza”, vede la prosecuzione del modello di vita mondiale attuale nel quale i fattori di rischio continuano a peggiorare favorendo la successiva aridità di tutte le risorse naturali.


Al di là delle soluzioni e della realizzabilità degli scenari che sono stati prospettati, ci si chiede quanto questo rischio sia effettivo e concreto per il nostro Paese.


Ad oggi, l’Italia è considerato un Paese a rischio desertificazione come gli altri che appartengono geograficamente alla fascia mediterranea. Alla fine degli anni Novanta, nello specifico tra il ’97 e il ’99, sono stati istituiti diversi comitati per lo studio di questo problema e la prospettazione di soluzioni.


Sono stati indicati fin da subito quattro obiettivi importanti: la protezione del suolo, la gestione sostenibile delle risorse idriche, la riduzione dell’impatto umano e delle attività produttive e, infine, il riequilibrio del territorio.


Oltre all’evidente mano dell’uomo che complica sempre ogni cosa, anche la predisposizione climatica di certi territori e l’esposizione di certe aree agli incendi (sempre più spesso dolosi) aumentano le probabilità che la desertificazione possa attecchire. Ad oggi, le regioni che rischiano, maggiormente sono la Puglia, la Basilicata, la Calabria, la Sicilia e la Sardegna.


In un mondo che, causa pandemia, ha riassaporato, seppur per poco tempo rispetto a quello necessario, quanto il rallentamento delle attività umane abbia consentito alla natura (tanto in termini di flora, quanto di fauna) di riappropriarsi dei suoi spazi vitali, l’impegno comune risulta fondamentale. Perché, in questo caso, non è in gioco soltanto l’ecosistema in quanto natura ma anche in quanto depositario della convivenza con l’uomo.


Il rischio è per l’intero genere umano e quando, dalle analisi degli studiosi, si osservano quelle date che sembrano avere una tranquilla e pacifica lontananza (2030 o 2050 che possa essere) non devono trarci in inganno. Quelle, infatti, indicano soltanto il tempo a nostra disposizione per cambiare il corso di avvenimenti che possono sconvolgere il mondo che viviamo e le nostre vite con questo.

 

Fonti:

Millennium Ecosystem Assessment, 2005b − Ecosystems and Human Well-being: Synthesis. Island Press, Washington, D.C.

FAO, 2005 − Global Forest Resources Assessment 2005. Italy. FAO Forestry Department, GFRA 2005 Country Report, 005, Roma


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