
L’Unione Europea, dopo il lungo e violento conflitto che coinvolse la ex Jugoslavia, decise di partecipare attivamente al processo di ricostruzione della regione balcanica inserendo la pace e la stabilità economica dell’area tra le priorità della sua agenda estera data anche la rilevante vicinanza geografica.
Nel 2004, con l’apertura dei confini dell’UE alla frontiera orientale del continente, Bruxelles ha inaugurato una stagione politica di consolidamento dei rapporti con i Balcani. L’ingresso della Slovenia e quello della Croazia, per quest’ultima nel 2008, hanno cementificato ulteriormente i buoni rapporti tra l’Unione e la regione.
Inoltre, l’UE ha continuato a seguire il percorso politico di altri Paesi balcanici nonostante alcuni non avessero ancora avanzato formalmente la richiesta di aderire al progetto unionale.
Così come per la decisione di aprire ed estendere i propri confini nell’Est Europa, anche quella di lavorare per inserire i Paesi balcanici nella comunità europea è un progetto che ha incontrato alcune defezioni e non poche opposizioni in seno alle assemblee comunitarie. Le ragioni di questo iniziale diniego sono simili a quelle del 2004. Questi Stati non sono ancora in grado di garantire delle strutture, istituzioni e normative adeguate agli standard democratici comunitari.
Infatti, proprio questo deficit legislativo è stato sottolineato negli ultimi incontri che la Presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, ha avuto con i leader dei Paesi balcanici che stanno negoziando il loro ingresso nell’Unione o il loro status ufficiale di Stato candidato all’ingresso.
Infatti, il 2020 doveva essere l’anno della Macedonia del Nord e dell’Albania, ma gli ingressi di questi due Paesi non si sono concretizzati e come minimo slitteranno nel 2021.
Per Skopje, c’è un problema di natura storico-politica. Nonostante i Macedoni attendano da ben quindici anni il loro ingresso in Europa e abbiano cambiato nome al loro Paese (per via del lungo scontro con la Grecia che pretendeva l’appellativo di Macedonia del Nord per distinguere lo Stato dalla regione ellenica della Macedonia che ha dato i natali all’eroe greco Alessandro Magno), il Governo ha visto l’opposizione al suo ingresso a Bruxelles a causa del divieto imposto dalla Bulgaria.
La decisione del Premier bulgaro Boyko Borissov si basa su rivendicazioni storico-culturali ma sono anche e soprattutto dettate da una complicata attualità politica nazionale. Infatti, nel tentativo di placare gli animi degli elettori bulgari dopo che il suo Governo è stato accusato di avere stretti legami con esponenti della mafia oligarchica locale, il Premier ha deciso di ricompattare il suo Paese sostenendo l’idea nazionalista bulgara contro i Macedoni.
Diversa, invece, la questione albanese. La candidatura di Tirana stava procedendo a braccetto con quella macedone, ma i ritardi per Skopje hanno portato ad una più approfondita analisi sulla situazione politico-legislativa albanese. Infatti, ciò che viene imputato al Governo di Edi Rama è la necessità di una riforma elettorale (la legge attuale prevede una nuova soglia di sbarramento alzata al 5% per i partiti), una riforma in materia di giustizia (si chiede all’Albania un pieno ed effettivo funzionamento della sua Corte Costituzionale) e un adeguamento della legge sui media in allineamento con i parametri richiesti dalla Commissione di Venezia.
Inoltre, grande attenzione è stata data dall’Unione Europea sui fascicoli inerenti a Montenegro e Serbia che hanno fatto registrare dei preoccupanti passi indietro.
Podgorica ha visto, con le elezioni dell’agosto 2020, un cambio netto alla guida del Paese. L’ex Presidente europeista Milo Dukanovic ha perso passando il testimone a Zdravko Krivokapic, leader filo-serbo che non ha subito dato tutte le garanzie richieste da Bruxelles.
Per quanto riguarda Belgrado, invece, le mancate riforme sociali in materia di stato di diritto e libertà e le non ancora risolte tensioni con il Kosovo hanno portato ad una maggior freddezza nei rapporti con Bruxelles.
Ed è proprio il Kosovo a rappresentare il punto più preoccupante. Dopo che l’UE aveva avviato nuovi incontri e colloqui diplomatici (sbloccando una situazione in stallo da venti anni) e aveva mostrato un incoraggiante ottimismo, i rapporti tra Belgrado e Pristina si sono irrigiditi in modo grave con forti accuse reciproche.
A distanza di alcuni mesi dagli ultimi incontri, l’Unione Europea deve fare una profonda riflessione. Al netto degli ostacoli politici-istituzionali incontrati da questi Paesi, la partita balcanica è già diventata di fondamentale importanza per determinare il peso geopolitico dell’UE. Con la Russia che è già entrata nella penisola grazie all’astuto progetto della diplomazia dei vaccini, ora tocca a Bruxelles rispondere e diminuire le sfere di influenza di Mosca.
Fonti:
Fonte immagine:
Comments