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Il paziente ungherese


Ancora una volta l’Unione Europea esce divisa e spaccata nella sua immagine di paladina dei diritti e delle libertà civili da riconoscere e difendere non soltanto all’interno del proprio territorio o del Vecchio continente (per intero), ma anche a livello globale.


Quanto sta accadendo a Budapest, infatti, oltre ad avere delle importanti conseguenze nei confini ungheresi, non risparmierà nemmeno Bruxelles e la renderà più debole e meno credibile agli occhi dell’intera comunità internazionale.


Si è già detto, e anche molto, delle legittime e giustificate paure che riguardano la comunità LGTBQ magiara date le nuove disposizioni varate dal Governo Orban. Con l’intento di proteggere i bambini e l’equilibrio sociale nazionale, l’Esecutivo ha varato delle norme in ambito aziendale, familiare e scolastico che introducono il divieto di rappresentazione e promozione dell’identità di genere diversa dal sesso di nascita, il cambio di sesso e l’omosessualità per i minori di 18 anni.


Non si vuole star qui a sottolineare la scontata (anche se non abbastanza) inumanità della seguente previsione legislativa.


Invece, è intenzione di chi scrive chiedersi perché.


Perché questa legge? No, sarebbe difficile comprendere e ragionare su certe ragioni. Il perché si deve connotare di uno sguardo più ampio. Perché l’Ungheria riesce, sistematicamente, ad essere così lontana dai diritti e dalle libertà che, in qualità di Stato membro, dovrebbe difendere e rappresentare? Perché Budapest riesce sempre ad osteggiare qualunque progetto umanitario europeo?


Perché Orban è ancora a Bruxelles e perché l’Unione Europea tollera certi comportamenti, scanditi da esternazioni e voti sfavorevoli che impediscono di ottenere l’unanimità di voto nei casi in cui questa è l’unico strumento decisorio?


Il polverone mediatico sollevato in seguito a questa infelice scelta politica rappresenta semplicemente l’ultimo capitolo di una saga molto lunga che ha sempre visto Bruxelles osteggiata da Budapest.


Andando a ritroso nel tempo e optando per un criterio cronologico discendente, Orban ha osteggiato il lavoro della Commissione Europea in due gravi conflitti intestini: quello tra Israele e Palestina e quello tra Cina e Hong Kong.


In entrambi i casi, l’Ungheria si è rifiutata di intervenire a sostegno dei territori e delle popolazioni aggredite. Era contro Bruxelles sia per il cessate il fuoco e il rilancio dei negoziati a Gerusalemme che nel punire Pechino e difendere la democrazia di Hong Kong.

Ancor prima di questi recenti episodi, Orban aveva gravemente fatto parlare di sé in altre circostanze. La prima riguardava i Recovery Fund. Durante le prime trattative per decidere la sua istituzione e il loro ammontare, l’Ungheria, a capo dell’area Visegrad, ha urlato allo scandalo affermando come fosse inconcepibile dover sempre seguire le volontà di Parigi e di Berlino. Un ulteriore segno della mancanza di una vera e propria mentalità europea deriva anche dall’ostracismo avanzato contro Bruxelles per la divisione e la distribuzione delle quote di migranti per aiutare i Paesi dell’Europa meridionale e per sgravare la rotta balcanica, diventata negli anni sempre più trafficata e interessata da un gravoso e disumano flusso migratorio.


L’Unione Europea, per un Paese dal passato come quello ungherese, ha rappresentato, e lo fa ancora, un’importante occasione di rilancio e di rafforzamento economico e politico. Per uno Stato che è una democrazia relativamente giovane e che, dopo l’uscita dal blocco sovietico, ha tentato di guardare al modello democratico occidentale questi sono gravi segnali incoerenti e di scontro.


Pensiamo alla stessa nascita del gruppo Visegrad (che coinvolge anche Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca). La sua fondazione è stato un modo attraverso il quale si è cercato di sottolineare con forza la presenza e l’importanza di questi quattro Paesi nel continente e nell’economia politico-decisoria comunitaria.


Se da una parte questa decisione è giustificata dal fatto che in Europa vige un principio rappresentativo per il quale ogni Stato membro è rappresentato in base ai dati demografici di ciascun Paese, dall’altro l’evoluzione degli ultimi anni è diventata preoccupante.


Oggi, infatti, ci sono dei veri e propri conflitti di interessi che allontanano i quattro da Bruxelles. La loro dipendenza energetica direttamente da Mosca e la presenza della Cina che, di recente, ha fondato in Ungheria la sede della Huawei più grande al di fuori del territorio cinese, rendono questi Paesi più vulnerabili alle sirene dei principali avversari politici dell’UE.


Ci si domanda allora se questo conflitto abbia una soluzione.


Si vuole pensare in maniera ottimista e condividere il pensiero tedesco secondo il quale serve uno sforzo comune e collettivo per costruire e rafforzare uno spirito e una coscienza socio-politica europea nei cuori e nelle menti dei rappresentanti politici di questi Paesi.


La capacità e la volontà di guardare oltre i propri confini sarà una missione difficile, ma fondamentale anche per rilanciare un’immagine comune e vincente di Bruxelles agli occhi dei suoi alleati e avversari internazionali.

 

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