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Il fattore Taiwan

Immagine del redattore: Vanni NicolìVanni Nicolì

Sul finire di gennaio l’universo politico internazionale ha registrato un pesante scossone all’altezza dell’isola di Taiwan. In verità, questo piccolo territorio è da lungo tempo teatro di scontri, frizioni politiche e diplomatiche con la Cina. Infatti, Pechino ha sempre considerato l’isola di Formosa (altro nome con il quale è nota Taiwan) come territorio cinese e pertanto si è da sempre arrogato il diritto di estendere la propria sovranità anche su Taipei. D’altro canto, la posizione taiwanese è esattamente opposta e numerosi sono stati i tentativi di uscire dalla morsa politica cinese.


La storia ci dice che la Repubblica Popolare Cinese (con capitale Pechino) e la Repubblica di Cina (con capitale Taipei) sono due Paesi con due Governi distinti dal 1949 quando, a termine della guerra civile cinese e la seguente vittoria di Mao Zedong e del Partito Comunista Cinese, il partito nazionalista Kuonmintang (guidato da Chiang Kai-Shek) è fuggito in Taiwan spostandovi il Governo e istituendovi la Repubblica.


Nel corso degli anni, grazie alla distensione dei rapporti tra il Partito Comunista e l’Occidente a fine anni ’70, Pechino ha sostituito Taipei come legittima rappresentante del popolo cinese.


Ed è da queste premesse storiche che anche oggi i rapporti tra questi due attori politici sono tesi.


In generale, oggi ci sono pochi Paesi che riconoscono ufficialmente Taiwan, nonostante l’isola intrattenga rapporti commerciali e informali con molti Stati. Questo ha messo in guardia Pechino che ha provato diverse volte a limitare l’attività internazionale dell’isola con pressioni di vario tipo perché molto preoccupata dai rapporti sempre più stretti tra Taipei e Washington.


E sono proprio gli Stati Uniti un fattore determinante per comprendere queste recenti frizioni.


Per due giorni consecutivi, Pechino avrebbe minacciato Taiwan conducendo esercitazioni militari in un’aerea nel sud-ovest dell’isola. Come fatto sapere dal Ministero della Difesa taiwanese, sabato 23 gennaio, otto bombardieri, quattro caccia e un aereo da pattugliamento marittimo sono entrati nella zona aerea di Taiwan, mentre il giorno seguente le operazioni cinesi hanno visto coinvolti 12 caccia, due aerei da pattugliamento marittimo e un aereo di ricognizione. Non è la prima volta che Pechino utilizza mezzi militari per intimidire e minacciare Taipei. Già nel mese di agosto, una serie di esercitazioni militari eseguite dall’Esercito Popolare di Liberazione cinese aveva allarmato Taiwan e la comunità internazionale.


In quest’ultimo caso le esercitazioni militari dell’RPC avevano seguito la visita ufficiale a Taipei del Segretario della Salute USA e volevano essere un avvertimento per Taiwan e per l’amministrazione Trump a non prendere azioni volte a un riconoscimento ufficiale dell’isola che potessero minare l’equilibrio regionale.


Dopo queste recenti azioni, non si è fatta attendere la risposta della neoeletta amministrazione Biden. Il nuovo Presidente ha infatti autorizzato la Marina a inviare un cacciatorpediniere lanciamissili nello Stretto di Taiwan, consentendo ad una nave da guerra statunitense di attraversare il corso d’acqua che separa la Cina dalla piccola isola.


Come affermato dal nuovo segretario di Stato Antony Blinken, l’impegno americano a Taipei è quello di assicurarsi della capacità taiwanese di difendersi da un’aggressione cinese.


In più, a questa azione, ha fatto seguito, recentemente, una conversazione telefonica di circa due ore tra Biden e Xi Jinping. Il colloquio ha toccato vari punti tra i quali la pandemia, l’ambiente, la proliferazione degli armamenti e, ovviamente, il futuro di Taiwan e Hong Kong.

Su questi ultimi due punti c’è stata una forte presa di posizione americana alla quale n’è seguita una altrettanto forte cinese. Biden ha parlato di pratiche sociali ed economiche repressive ai danni dei due territori; la risposto di Xi è stato un lapidario “questioni interne relative alla sovranità territoriale cinese”. Questo conferma una chiusura decisa su questioni nelle quali un’ingerenza straniera non è affatto accettata da parte di Pechino, specie se proveniente da Washington.


Taiwan è destinato ad essere solo il primo di numerosi terreni di scontro tra queste due super potenze. Il delicatissimo rapporto sino-americano sarà destinato ad essere ancor più teso specie con i nuovi piani politici della nuova amministrazione americana. Al di là della contingenza taiwanese, sembra che gli Stati Uniti abbiano davvero capito il rischio rappresentato dalla potenza cinese e dal suo programma di continua espansione geopolitica e che stiano prendendo le prime contromisure.


 

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