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Il dramma dei bambini-soldato


Il fenomeno legato ai bambini-soldato è divenuto, negli anni, una vicenda sempre più complicata e allarmante che ha esteso la sua portata e i suoi effetti con dei numeri decisamente elevati e drammatici.


Ad oggi, sono decine, o anche centinaia di migliaia, i bambini arruolati nei gruppi armati in almeno 14 Paesi del mondo. Queste stime, purtroppo, non consentono di conoscere il numero reale e di avere una percezione completa in quanto non esiste una statistica ufficiale. La motivazione dietro questa impossibilità sta nella volontà di tener nascosta questa piaga, da parte di chi alimenta il fenomeno, poiché considerata illegale dalle convenzioni internazionali.


Alcuni numeri, però, raccolti e documentati, testimoniano la presenza di oltre 30 mila arruolamenti accertati a partire dal 2012. Tuttavia, questi sono solo la punta dell’iceberg di un fenomeno molto più diffuso.


Un dato tristemente significativo è quello raccolto dall’organizzazione Intersos che dimostra come questo fenomeno sia di natura transnazionale e di rilievo globale. Inoltre, trae nutrimento dalla natura dei conflitti contemporanei, che si caratterizzano per essere protratti nel tempo, asimmetrici, con il coinvolgimento di una miriade di attori informali e un’elevata esposizione della popolazione civile. Per coloro i quali investono e hanno degli interessi in questi conflitti non fa alcuna differenza perpetrare questi gravi atti di violenza e ripetute violazioni dei diritti dell’infanzia.


Ma, come si definisce un “bambino-soldato”?

È definito tale, chi è associato ad una forza armata o ad un gruppo armato ed è qualsiasi persona di età inferiore ai 18 anni che è, o che è stata, reclutata o utilizzata da una forza armata o da un gruppo armato a qualsiasi titolo, sia come combattenti, cuochi, facchini, spie o per scopi sessuali.


A questa definizione, volutamente dai confini larghi per poter essere il più possibile onnicomprensiva, si associa anche la Convenzione sui diritti dell’infanzia (condivisa da 196 Stati), approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 e ratificata dall'Italia il 27 maggio 1991 con la Legge n. 176.

Accanto a questo grande strumento legislativo internazionale, nel 2002, su grande pressione dell’Unicef, l’impegno di tutto il mondo è stato rinnovato e rafforzato grazie alla ratifica di questi 196 Paesi del Protocollo opzionale alla Convenzione che si concentra, nello specifico, sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza dei bambini coinvolti, attivamente o passivamente, nei conflitti armati.


Infatti, si evince, da questo nuovo testo, come il contrasto al fenomeno dei bambini-soldato è ancora lontano dall’essere sradicato ed è stato inserito un nuovo e più basso limite d’età al fenomeno. Recita il protocollo: “Prendendo atto dell’adozione dello Statuto della Corte penale internazionale, che include fra i crimini di guerra nei conflitti armati sia internazionali che non internazionali, la chiamata di leva o l’arruolamento nelle forze armate nazionali di bambini di età inferiore a 15 anni, o il fatto di farli partecipare attivamente alle ostilità; Considerando di conseguenza che, per rafforzare ulteriormente i diritti riconosciuti nella Convenzione relativa ai diritti del fanciullo, occorre accrescere la protezione di questi ultimi rispetto a qualsiasi coinvolgimento in conflitti armati”.


Nonostante questi importanti sforzi, nel 2017, le Nazioni Unite hanno identificato i 14 Stati dove è ancora presente un massiccio arruolamento di bambini soldato. Questi sono: Afghanistan, Colombia, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Iraq, Mali, Myanmar, Nigeria, Filippine, Somalia, Sud Sudan, Siria e Yemen.

Il caso dei “bambini-soldato” è tornato alla ribalta mondiale, negli ultimi giorni, con la sentenza della Corte Internazionale Penale che ha condannato a 25 anni di carcere Dominic Ongwen, ex bambino-soldato ugandese, rapito negli anni ’80 e costretto ad arruolarsi nella Lord’s Resistence Army.


Nel tempo, Ongwen si è macchiato di crimini gravissimi e inenarrabili e alcuni sono stati commessi anche quando era soltanto un bambino. La Corte ha voluto condannare col massimo della pena, nonostante avesse valutato anche la possibilità di comminare la pena dell’ergastolo, proprio per la particolare storia che ha visto quest’uomo entrare a contatto con delle realtà belliche (e non solo) fin dalla sua tenera età.


Ci si chiede se e quanto, a livello prettamente giuridico, si siano considerate le famose attenuanti dovute anche all’età e al contesto di violenza e sopravvivenza nel quale è stato costretto ad entrare.


Sicuramente, il fatto di non aver dato l’ergastolo è un importante punto di partenza perché permette di curare un aspetto sempre un po' trascurato di questa vicenda, ovvero la reintegrazione di queste persone nella società. Ma è sufficiente?

Rappresenta, sicuramente, una sfida molto complicata soprattutto quando si diventa adulti, ma non ci si deve arrendere. Proprio per questo, occorrerebbe un grande lavoro di prevenzione e di intervento immediato per evitare che possa essere troppo tardi e che gli orrori della guerra possano aver dilaniato e squarciato definitivamente quell’aurea di innocenza tipica di un bambino.


 

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