
Nemmeno l’emergenza legata al Coronavirus ha permesso ad un fenomeno sociale e umano tanto diffuso quanto grave, come il traffico degli esseri umani, di avere una diminuzione nei suoi barbari numeri.
Anzi, questo delicato momento storico ha confermato, una volta per tutte, quanto il problema sia diventato ancor più radicato e pertanto meritevole di nuovi e ancor più efficaci interventi legislativi internazionali e transnazionali.
I numeri, infatti, sono negativi e impressionanti. Statistiche italiane registrate dal Ministero di Giustizia, aggiornate al 2015, hanno evidenziato, su un campione di fascicoli delle procure d’Italia, un 73% di casi in cui il reato contestato è stato quello della riduzione in schiavitù (articolo 600 c.p.), un 23% inerente alla tratta di persone (articolo 601 c.p.) e un 4% riguardante l’acquisto e l’alienazione di schiavi (articolo 602 c.p.).
Un approfondimento statistico, invece, ha dimostrato che la vittima tipica dello sfruttamento corrisponde al profilo di una persona giovane (età media 25 anni e nel 75, 2% dei casi una donna) e che il 15,7% delle vittime sono minori.
Questi numeri vedono un pericoloso allargamento quando la statistica assume il punto di vista europeo. Nel 2016, la Commissione Europea ha fatto sapere che il numero delle vittime di tratta nei Paesi membri ha raggiunto le 15.846 vittime (questo numero potrebbe essere anche più basso di quello effettivo e negli anni è solamente sceso di mille unità) e che la tratta a fine sessuale è il genere di sfruttamento maggiormente diffuso (riguardante il 67% delle vittime).
Accanto a dei numeri e dei dati a dir poco allarmanti, il GRETA (Group of Experts on Action against Trafficking in Human Beings), nel 2017, ha sollevato forti preoccupazioni sul fallimento delle procedure di identificazione di queste donne come vittime di tratta, dei minori non accompagnati che vengono portati nei centri di accoglienza e al modo in cui vengono eseguiti i rimpatri forzati delle vittime di tratta nei loro Paesi di origine.
Ed è anche sulla base di queste difficoltà lavorative che, recentemente, l’Unione Europea ha deciso di lanciare un nuovo piano per affrontare questa piaga sociale e rinnovare le precedenti “strategie dell’UE per l’eradicazione della tratta degli esseri umani”.
Il piano, presentato ad aprile e in vigore dal 2021 fino al 2025, è incentrato sulla prevenzione al crimine, l’arresto dei trafficanti e la protezione delle vittime. L’iniziativa si basa sul quadro giuridico e politico globale dell’UE (già in funzione dalle precedenti direttive anti-tratta che si basano sull’attuazione della direttiva n. 36 del 2011) e sarà sempre la Commissione a vigilare affinché tutti gli Stati membri adempiano efficacemente a questa strategia.
Gli obiettivi di questo rinnovato progetto sono: la riduzione della domanda che favorisce la tratta di esseri umani con la Commissione a lavoro per poter stabilire delle norme minime per qualificare come reato l'utilizzo dei servizi derivanti dallo sfruttamento delle vittime della tratta e una campagna di prevenzione. Nello specifico, si tratterebbe di colpire coloro i quali, attraverso prostituzione e lavoro, sfruttano queste persone. Poi, smantellare il modello commerciale dei trafficanti, sia online che offline, con un monitoraggio costante delle piattaforme nelle quali avvengono questi reclutamenti anche attraverso la formazione specifica di personale addetto a questa mansione; protezione, sostegno ed emancipazione delle vittime con personale qualificato nell’aiutare donne e bambini nella futura integrazione nella società e, infine, la promozione e il rafforzamento della cooperazione internazionale attraverso un sistema condiviso di informazioni tra le forze di polizia di tutti i Paesi membri.
L’esigenza di rafforzare questa partnership tra i Paesi membri verrà anche estesa anche all’interno della stessa Unione Europea.
Infatti, è desiderio di Bruxelles coinvolgere diversi organi e agenzie comunitarie (tra tutti, si pensi al Comitato delle Regioni) nel tentativo di raggiungere nel modo migliore i suddetti obiettivi.
Questo perché, in un momento storico così delicato come quello in corso, la cooperazione diventa ancor di più la chiave di volta di una costruzione statale e umana in grande crisi.
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