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Disunited States of America

Immagine del redattore: Vanni NicolìVanni Nicolì

Peggio di un fulmine che squarcia il cielo o di una grandinata in piena estate, gli avvenimenti di Capitol Hill hanno sconvolto inevitabilmente l’universo socio-politico americano e hanno lasciato sgomenti le coscienze, democratiche e non, di tutto il resto del Mondo.


Gli spari che hanno scandito l’assalto della folla nella sede del Congresso americano hanno decretato ufficialmente lo stato moribondo della democrazia statunitense e hanno attestato la fragilità di un sistema politico che sembra non riuscire a stare a passo con lo status di prima potenza geopolitica mondiale che etichetta Washington da diversi anni a questa parte.


È possibile rimanere davvero sorpresi da quanto visto in questi ultimi giorni? Può davvero sorprendere il fatto che proprio gli Stati Uniti, che vantano una Costituzione che afferma, come obiettivo fondamentale di un Governo, la necessità di permettere il raggiungimento della felicità del popolo, siano stati il teatro di un evento così drammatico quanto pericoloso per il proprio equilibrio democratico, storico e sociale?


L’occhio e l’attenzione di una persona non nuova ad analizzare queste dinamiche socio-politiche non può rimanere sorpreso perché c’è una verità fondamentale che proviene direttamente dall’America. Gli Stati Uniti sono il Paese che incarna perfettamente il concetto di contraddizione; uno Stato che ha millantato valori democratici e di pace ma che ha sempre agito per assecondare i propri scopi strategico-militari in territori altrui e negando gli stessi principi che ispirano (o dovrebbero ispirare) la sua azione politica interna.


La storia americana si caratterizza per essere un enorme boomerang. Così come, questo strumento viene lanciato per poi tornare indietro, altrettanto può essere affermato per gli eventi che hanno caratterizzato gli USA. Per ogni conquista o evento importante, ci sono stati dei contraccolpi e delle conseguenze che hanno spinto il Paese in direzione contraria rispetto a quanto fatto in precedenza.


La conferma di quanto affermato arriva proprio dal principio. La stessa fondazione degli Stati Uniti d’America, come Stato indipendente, ha avuto una natura turbolenta, frutto della famigerata “Rivoluzione Americana” del 1776 che vide la cacciata degli Inglesi.


In materia di politica interna, ricordiamo tutti il grande contributo americano alla lotta per abolire la schiavitù. Questo risultato arrivò grazie al Proclama di emancipazione voluto da Abraham Lincoln e diede alla democrazia americana lo status di regime all’avanguardia e moderno. Ma anche qui, quale fu il prezzo per una decisione politica e sociale così importante e lungimirante? Una lunga e cruenta guerra civile che vide contrapporsi gli Stati del Sud a quelli del Nord (quattro anni di battaglie e oltre duecento mila vittime).


A proposito di Lincoln, egli è solo il primo di ben quattro Presidenti uccisi mentre era in carica (gli altri tre furono Garfield, McKinley e Kennedy). A questi, si sommano Nixon, Carter, Ford e Reagan che sono riusciti a sopravvivere a diversi attentati. Un modo efficace e davvero democratico di indire nuove elezioni.


Inoltre, il Paese che ha abolito la schiavitù è stato anche quello che ha visto una fortissima discriminazione tra i neri e i bianchi. L’impossibilità per le persone di colore di avere le medesime opportunità sociali (a partire dall’istruzione e includendo anche l’assistenza medica), di sedere nei medesimi posti dei bianchi (sia su un comunissimo pullman che in una tavola calda) ha caratterizzato per anni la società americana. Lo Stato che ha ascoltato i discorsi di Malcom X e di Martin Luther King, uomini che hanno gettato importanti fondamenta per un’America migliore e veramente inclusiva, ha anche assistito, in parallelo, alla morte di entrambi tramite attentati e alla formazione e ascesa del Ku Klux Klan.


Inoltre, quante volte, tra produzioni letterarie e cinematografiche, abbiamo ascoltato la favola che recitava “America, terra delle opportunità” oppure il celeberrimo slogan “vivere il sogno americano”. Gli stranieri che vivono negli Stati Uniti, ancora oggi, a distanza di tanti anni, non possono definirsi davvero integrati nella società americana.


In passato, una vecchia legge, nota come l’Home Owners Loan Act del 1933, divise le città in diverse zone. Quelle segnate con “A – best” erano quelle a rischio minimo, in cui era più sicuro investire. Scendendo nella scala, passando per le aree “B – desirable” e “C – declining”, si arrivava alla lettera “D – hazardous”, che indicava le zone più pericolose, in cui era sconsigliabile investire. Il problema, però, è che le zone identificate con le ultime due lettere erano proprio le aree più densamente popolate dalla popolazione afroamericana. A distanza di anni, la situazione non è molto diversa. Le grandi città, ancora oggi, (dalla costa del Pacifico a quella dell’Atlantico) sono frammentate in quartieri abitati da minoranze (afro americani e latino americani su tutte) isolate dal resto delle città. Questo rappresenta una vera e propria ghettizzazione.


Questi sono solo alcuni degli esempi che hanno caratterizzato l’assurda storia politica interna americana. Il vero vaso di Pandora è quello proveniente dalla politica estera.


Gli Stati Uniti si sono sempre eretti a paladini della giustizia, difensori della pace mondiale e soprattutto esportatori della democrazia.


La storia ci dice che, inizialmente, gli Stati Uniti volevano difendere l’intero continente americano dalla fame coloniale europea come rappresentato dalla dottrina Monroe. Non paghi di questo, gli Americani hanno ben pensato di scacciare gli Spagnoli dal Centro-America prendendo poi il loro posto in un secondo momento.


Ci sono molti episodi di incoerenza valoriale che le guerre hanno aumentato. Rovesciare Governi in Sudamerica (come in Brasile) o portare la democrazia in Vietnam, quando in nome della vittoria ai danni dello storico rivale russo, si è ucciso senza pudore con armi e mezzi (quel napalm che ricordiamo da Apocalipse Now) che hanno distrutto un Paese intero.

Si aggiunga la guerra del Golfo, nella quale gli Americani hanno usato l’Arabia Saudita come base militare senza comprendere e apprezzare se il loro modo di comportarsi o lavorare fosse rispettoso o meno della cultura e delle tradizioni del popolo saudita. La guerra in Iraq, fatta per esportare la democrazia in un Paese lasciato nella povertà assoluto e senza un Governo ma al quale, udite udite, è stato regalato il codice stradale del Maryland. Questione di priorità evidentemente.


In tutto questo, il Paese ha visto l’amministrazione di un Presidente che, in tutte le sue stravaganti e inopportune affermazioni, è il primo Capo di Stato americano a non aver iniziato un conflitto. Nonostante le continue frizioni con Pyongyang e Teheran, Trump è stato più pacifico e diplomatico perfino di Barack Obama (tra l’altro, insignito del premio Nobel per la pace nel 2009).


Vedendo questo continuo tira e molla tra posizioni democratiche e derive autoritarie, forse è da condividere l’idea della Presidente della Camera Nancy Pelosi che chiede che Trump venga rimosso dal suo incarico. La rimozione comporterebbe l’impossibilità al tycoon di ricandidarsi. Che questo sia un segnale di sfiducia nel popolo americano, incapace di distinguere il bene dal male e che potrebbe riportare Trump alla Casa Bianca?


Per un popolo che mette con orgoglio la bandiera del proprio Paese ad ogni casa per fedele e cieco patriottismo, sarebbe forse giunto il momento di aprire gli occhi sulla effettiva natura di uno Stato turbolento, segnato da mille contraddizioni che gettano più ombre che luci sul proprio sistema democratico.

 

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