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Dietro le quinte del terrorismo

Immagine del redattore: Vanni NicolìVanni Nicolì

È successo, ancora una volta. E di nuovo l’Europa, in generale e la Francia e l’Austria, in particolare, sono apparse e si sono mostrate impreparate ad un evento del genere. L’ennesimo attacco terroristico ha drammaticamente preso in contropiede le coscienze sociali e politiche di tutti.


Ma è davvero possibile che si possa ancora essere a questo punto? Possibile non aver imparato nulla da quanto visto e sofferto tra i numerosi attacchi che il continente europeo ha subito (da Parigi a Barcellona, passando per Londra, Berlino e Manchester).


È vero, quando una persona decide di agire in solitaria è praticamente impossibile avanzare qualunque genere di previsione. Inoltre, l’analisi ex post è sempre facile e in questi casi anche troppo. La vera sfida viene vinta quando c’è un lavoro a monte che anticipa qualsiasi idea sanguinolenta che mina la stabilità della nostra vita giornaliera.


Ovviamente però ci sono due modi che possono essere avanzati per provare a risolvere una piaga che sta divenendo sempre più drammatica e frequente. La prima modalità è quella che vede protagonisti i servizi segreti e un ampio, approfondito e capillare lavoro di intelligence. Le risorse di polizia, investigative e quelle giudiziarie a disposizione di ogni Paese siano esse di matrice nazionale che comunitaria sono molte e all’avanguardia nel “vecchio continente”. Ma questo non basta. Dover ricorrere a questo genere di intervento è un sintomo di un ritardo cronico perché rimane sempre valido e corretto quel vecchio adagio che recita “prevenire è meglio che curare”.


Allora qual è la giusta soluzione da adottare davanti a dei problemi di questo genere? Come riuscire a coniugare la necessità di un risultato concreto e positivo con l’esigenza di un intervento preventivo che curi questa situazione in un’ottica ex ante?


L’unica strada percorribile è il dialogo favorito, grazie all’azione ispiratrice dell’Unione Europea, dall’intercultura.


L’Europa, in passato, si è caratterizzata per la sua natura multiculturale che ha non ha portato i risultati sperati in termini di coesione sociale. Il multiculturalismo ha sempre dato alle minoranze presenti nel continente un punto di vista speciale, un trattamento speciale perché la popolazione che ne beneficiava era “diversa”, rappresentava la “minoranza” e andava protetta. Questa protezione, però, col tempo, si è tradotta in distacco, lontananza che hanno portato a incomprensione, incomunicabilità e razzismo, quasi in un climax ascendente che né le istituzioni nazionali né quelle comunitarie hanno saputo arginare.


Esempi concreti vengono dagli scontri di Oldham, sobborgo di Manchester, nel 2001, nell’uccisione di Theo Van Gogh nel 2004 ad opera di un estremista islamico come reazione al cortometraggio sulla violenza che le donne musulmane sono costrette a subire, ai disordini sociali che hanno investito Copenaghen dopo la messa in onda di un cartone satirico contro la religione islamica nel 2005. Per tornare ad un periodo storico più vicino a noi, non è possibile non citare l’attentato che insanguinò Parigi nel 2015 e che colpì la redazione del tanto contestato giornale “Charlie Hebdo”.


Ecco, la chiave di lettura nella quale si inserisce perfettamente un modello di convivenza socio-politica come l’intercultura è proprio rappresentata dall’equilibrio che c’è e ci deve essere tra un diritto e una libertà fondamentale come la libera stampa e manifestazione di idee e il rispetto della diversità.


Il rispetto di chi è diverso e la sua accettazione e integrazione all’interno della società da parte della maggioranza deve essere un lavoro da compiere non solo in modo negativo, ma anche positivo. Non è possibile procedere soltanto a suon di “non bisogna, non si può dire/fare”. È necessario un intervento che promuova azioni positive che incoraggino la costruzione di un dialogo tra la maggioranza e le minoranze.


Apprendere che le maggiori capitali europee (Londra, Parigi, Bruxelles) si caratterizzano per una topografia che impone agli immigrati di vivere tutti insieme in zone periferiche e in quartieri malfamati delle città (vedesi la cosiddetta area del Londonistan o il quartiere parigino di Bercy o quello di Molenbeek nella capitale belga) è un duro colpo che allontana gli stranieri dal vivere e convivere pacificamente e in armonia nel “nuovo” Stato.


Questo comporta un aumento della diffidenza nei confronti di chi è “altro” e la formazione di un risentimento nelle coscienze delle minoranze nei confronti del Paese ospitante.


Progetti nazionali di riqualificazione di queste grandi aree urbane (come quello proposto e realizzato a Berlino) e iniziative comunitarie di inquadramento delle città europee in chiave interculturale (a tal proposito si segnala il progetto europeo di ICC (InterCultural Cities) per vivere in spazi che facilitino la convivenza e la comunicazione tra le varie componenti sociali, rappresentano un punto fondamentale dal quale partire.


Ritornando ai recenti tristi avvenimenti, quello che è successo un mese fa a Nizza deve far riflettere. Partendo dal necessario presupposto che nulla giustifica la violenza (al di là del suo grado di efferatezza), il pacifico e costruttivo confronto sulle rispettive diversità che caratterizzano e rendono affascinanti e peculiari ogni cultura, religione o semplice modo di pensare deve passare dal rispetto.


Il periodico “Charlie Hebdo”, a mio avviso, dovrebbe imparare a porre un freno alla satira ma non perché non si è liberi di avere una propria idea e/o di manifestarla. Semplicemente perché è doveroso garantire il rispetto di ciò che è diverso e non si conosce anche perché il confine tra ironia, satira e mancanza di rispetto è particolarmente labile e difficile da individuare, specie in questo ambito.


Ora, la ricerca dei colpevoli, le indagini e la successiva messa in sicurezza di aree e centri importanti delle capitali europee (specie in prossimità delle sempre più imminenti festività natalizie) non ci deve distrarre dal vero obiettivo. Curare l’Europa da questi mali è un’operazione possibile che passa anche e soprattutto da politiche di accoglienza e di convivenza.


E, in uno scenario come quello attuale, colpito dal Coronavirus, l’attenzione e la sensibilità verso queste tematiche non può passare in secondo piano, anzi. Urge una visione politica di aiuti e sostegno economico a tutta la popolazione in modo eguale senza alcuna distinzione di razza, religione o mestiere.


Non siano le difficoltà del momento a renderci ulteriormente ciechi. È arrivato il momento di metterci tutti a lavoro. Se non ora, quando.

 
 
 

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