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Detenzioni illegali


Il fenomeno delle “detenzioni illegali” ha avuto alterne fortune per quanto riguarda l’attenzione della comunità internazionale e del diritto internazionale, sia pubblico che privato. Nello scorso secolo, infatti, voci su presunte pratiche di questo tipo correvano lungo i corridoi dei palazzi dei principali Governi occidentali e orientali per poi espandersi e spegnersi in quelli di Unione Europea e Nazioni Unite.


Questo contesto, di tacita e illecita accettazione o sottovalutazione del fenomeno, ha trovato, negli anni, un’importante presa di coscienza che ha portato a denunciare pubblicamente queste pratiche e a prendere provvedimenti legislativi internazionali più accurati e specifici per sensibilizzare e debellare il fenomeno.


Queste azioni sono ritornate sotto i riflettori mediatici quando, nel 2018, sono pervenute nuove informazioni su questa pratica sia in centri di detenzione in Libia che in alcuni Paesi europei.


Il 10 aprile 2018, l’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite ha denunciato, in un suo rapporto, la sistematica prassi dei gruppi armati in Libia di detenere illegalmente e arbitrariamente migliaia di persone, sottoponendole a torture, anche e spesso con la connivenza delle autorità statali.


Secondo il rapporto, non è possibile quantificare le dimensioni del fenomeno, dato che non ci sono statistiche generali disponibili. Si sa che circa 6.500 persone sono detenute ufficialmente sotto il controllo del Ministero. Non ci sono nemmeno dati relativi alle strutture di detenzione sotto il controllo dei dicasteri dell’Interno e della Difesa e, ancor meno, a quelle gestite da gruppi armati indipendenti. Sono molteplici le violazioni dei diritti umani perpetrate nei confronti di queste persone, spesso detenute in condizioni di isolamento e in celle assai ristrette. Inoltre, vengono sottoposte ad interrogatori senza la presenza di avvocati e spesso vengono fatte oggetto di maltrattamenti che, in alcuni casi, possono essere qualificati come dei veri e propri atti di tortura.


Il fenomeno, però, ha dei confini molto larghi e pericolosi che inglobano anche l’Europa.


Il 31 maggio 2018, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha emesso due importanti sentenze nei casi Al Zubaydah c. Lituania e Al Nashiri c. Romania, riconoscendo i due Stati responsabili delle violazioni della Convenzione sui diritti dell’uomo commesse in due centri segreti di detenzione della CIA sul loro territorio. La Corte si era già occupata dei due ricorrenti nella sua decisione del 24 luglio 2014 in seguito ad un primo ricorso contro la Polonia, riconosciuta responsabile della violazione della Convenzione per avere permesso ad agenti della CIA di detenerli rispettivamente per sei e nove mesi in una prigione segreta situata in territorio polacco e di trasferirli successivamente in altri siti. Il tutto senza che i due potessero in alcun modo ottenere il controllo di un giudice sulla loro vicenda. Con le decisioni del 31 maggio 2018, la Corte ha condannato Bucarest e Vilnius per quanto accaduto.


Accanto alla già citata CIA, anche gli Stati Uniti (così orgogliosi dei loro valori e della loro democrazia) hanno direttamente commesso questo genere di operazioni in passato. Non si tratta di un set hollywoodiano, purtroppo, dato il rapporto del 2005 dello Human Rights Watch che denunciava le colpe di Washington in questo senso. Venivano denunciati pratiche di torture disumane, tra cui anche quella del “waterboarding” (il cosiddetto annegamento simulato con asciugamani per coprire naso e bocca).


Le prove raccolte, stando al rapporto, sarebbero sufficienti per avviare una vasta indagine penale sui presunti reati commessi (tortura e maltrattamenti a danno di detenuti), sul programma segreto di detenzione della CIA e sul trasferimento di detenuti verso Paesi dove potessero essere torturati (le cosiddette “rendition”). Ciò che il rapporto sottolinea è la possibilità di ravvedere la responsabilità di quattro alti funzionari: l'ex Presidente George W. Bush, l'ex Vicepresidente Dick Cheney, l'ex Segretario alla Difesa Donald Rumsfeld e l'ex Direttore della CIA George Tenet.


Ad oggi, però, molte di queste informazioni rimangono ancora secretate e non disponibili al pubblico.


Secondo l’American Civil Liberties Union, che ha ottenuto il rilascio alla pubblica opinione di migliaia di documenti in base alla legge sulla libertà di informazione, tra le decine di documenti chiave che sono ancora trattenuti, vi sono la direttiva presidenziale del mese di settembre 2001, che autorizzava i “siti neri” della CIA. Il tutto in uno strano quadro di legalità dato che il Congresso, nel 2006, aveva adottato la “Military Commission Act” che rendeva pubbliche e legali pratiche che fino a quel momento erano solamente regolate da direttive presidenziali, per di più segrete.


Quanto riportato invita ad una riflessione. Quanto buio c’è dietro al concetto e alla struttura della democrazia? Combattere il terrorismo può esimerci dal rispettare le più elementari norme sui diritti umani?


Chi scrive non conosce quale sia la migliore strategia per combattere e vincere il problema del terrorismo, ma è noto che il meccanismo odio su odio non ha mai portato a nulla di buono e una comunità internazionale che ha già conosciuto due guerre mondiali dovrebbe averlo già capito da tempo.

 

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