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C’è chi può e chi non può

Immagine del redattore: Omar JouadOmar Jouad

Le modalità dell’arresto del giornalista bielorusso Roman Protasevich, seppur analoghe a quelle di altri arresti illustri del passato, non hanno tuttavia generato lo stesso scalpore che questi ultimi provocarono.


Il 23 maggio scorso un caccia bielorusso, per ordine del presidente Lukashenko, ha dirottato un aereo di linea della compagnia aerea Ryanair diretto a Vilnius a causa di un presunto allarme bomba (probabilmente segnalato dalla Svizzera, seconde delle recenti dichiarazioni del presidente). In realtà, una volta fatto atterrare a Minsk, le forze dell’ordine locali hanno proceduto all’arresto di Roman Protasevich, giornalista di opposizione interna all’esecutivo bielorusso. Protasevich è anche co-fondatore di Nexta TV, il cui canale Telegram riunisce molti dissidenti del governo di Lukashenko per organizzare manifestazioni di protesta. Inoltre, alcune voci rivelano persino che Roman si schierò a favore dell’esercito ucraino contro la popolazione del Donbass durante la guerra, ma non è chiaro se all’interno della milizia ricoprisse il ruolo di giornalista o di combattente. Il suo attivismo politico portarono le autorità bielorusse, nello scorso novembre, ad accusarlo di incitamento al disordine pubblico e odio sociale oltre che ad inserirlo nella lista dei terroristi ricercati. Pertanto, se sarà condannato per le accuse relative al suo attivismo politico, in Bielorussia la pena prevista è una detenzione di oltre dodici anni, ma se si deciderà di condannarlo per terrorismo allora rischierà la pena di morte.


La richiesta del rilascio immediato di Roman Protasevich è provenuta all’unisono dall’oppositrice in esilio di Lukashenko Svetlana Tikhanovskaya, dal presidente lituano Gitanas Nausėda, dal segretario di Stato americano Antony Blinken e dagli alti rappresentanti dell’UE. Quest’ultimi hanno anche dichiarato le proprie intenzioni di adottare delle sanzioni e di bloccare i voli ai danni della Bielorussia. Persino il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, si è espresso sull’accaduto, definendolo “un incidente pericoloso che dev’essere esaminato da un’inchiesta internazionale”. Indagine internazionale che è stata invocata anche dal presidente statunitense Biden. Voci controcorrente sono giunte da Mosca, da dove il ministro degli esteri, Sergej Lavrov, ha espresso il sostegno della Russia nei confronti della Bielorussia. Inoltre, la portavoce del ministro degli Esteri russo, Maria Zakharova, si è dichiarata stupita di fronte alle reazioni dell’occidente, definendole persino “ipocrite”, in quanto, secondo la Zakharova, gli stati europei hanno “reagito in maniera diversa a eventi simili che erano accaduti in altri paesi”.


Già, la portavoce russa alludeva sicuramente al dirottamento dell’aereo su cui viaggiava l’allora presidente boliviano Evo Morales, avvenuto per via del sospetto che assieme a lui in quell’aereo viaggiasse anche Edward Snowden, l’ex funzionario della National Security Agency statunitense allora in fuga dal proprio Paese dove era accusato di aver divulgato segreti di stato relativi alla sorveglianza di massa su cittadini ignari. In quella circostanza, nel luglio 2013, prima il Portogallo e poi la Francia negarono l’atterraggio del velivolo di Stato boliviano sul proprio suolo, impedendogli di fare rifornimento prima di raggiungere La Paz. L’aereo, alla fine, ricevette accoglienza soltanto dall’Austria, ma nel frattempo anche Spagna e Italia non prestarono il proprio consenso affinché l’aereo potesse sorvolare i propri cieli. I sospetti della presenza di Snowden nell’aereo presidenziale di Morales derivarono dalle dichiarazioni rilasciate da quest’ultimo, poco prima di imbarcarsi in quel volo, con cui si dimostrò favorevole a valutare un’eventuale richiesta di asilo da parte di Snowden (peraltro mai pervenuta). Di fatto, l’ex agente della NSA non fu trovato in quell’aereo. Ciononostante, il fronte europeo non espresse la propria condanna nei confronti delle decisioni di Francia e Portogallo che misero a rischio la vita del presidente Morales. Molti analisti appoggiarono la visione di molti Paesi sudamericani (Bolivia compresa) sull’accaduto, che lo videro come un ordine dettato da Washington ai propri partner europei. A seguito dell’incidente diplomatico, il presidente Morales dichiarò: “[non si è trattato di un errore, n.d.r.] ma di una politica che cerca di terrorizzare la Bolivia e l’America Latina; noi siamo indigenti e anti-imperialisti, non abbiamo più paura dell’impero e ci dispiace che alcune nazioni europee siano servili nei confronti dell’impero”, riferendosi ovviamente a quello statunitense.


Le parole della Zakharova alludevano anche all’arresto del giornalista anti-Maidan di origine armena Armen Martirosyan, il quale fu catturato a Kiev nel 2016 dopo che l’aereo della compagnia bielorussa nel quale viaggiava fu intercettato e fatto decollare da dei caccia ucraini, senza che le prime pagine dei giornali europei si gridassero allo scandalo.


Trama analoga, seppur ancora avvolta in un’ombra di mistero in quanto esistono varie versioni differenti, si ebbe nel luglio 2010, quando fu arrestato Abdolmalek Rigi, leader del gruppo armato sunnita Jundullah. L’uomo era stato accusato dall’Iran, suo Paese d’origine, di attacchi terroristici di cui lo stesso Rigi si dichiarò responsabile, e che portarono alla morte di molti civili iraniani e cinque comandanti superiori delle Guardie Rivoluzionarie, ossia le potenti forze militari iraniane. Sebbene non sia chiaro il luogo esatto dell’arresto, anche in questo caso l’uomo venne fermato dopo che l’aereo in cui viaggiava da Dubai al Kirghizistan fu costretto dalle autorità iraniane ad un dirottamento e atterraggio forzati, stando alle dichiarazioni del politico iraniano Mohammed Dehgan. Secondo le autorità iraniane, fra cui il ministro dell’intelligence, Heydar Moslehi, Rigi avrebbe ottenuto il supporto dei servizi segreti di Stati Uniti, Regno Unito e Israele nel compimento dei suoi attentati. In particolare, gli USA avrebbero fornito all’uomo un falso passaporto afgano, mentre Londra si sarebbe impegnata ad insabbiare le gesta dell’uomo attraverso i propri media mainstream. Tuttavia, l’occidente respinse le accuse iraniane di supporto al terrorismo.


Altra vicenda di deviazione aerea forzata che ha coinvolto indirettamente il nostro Paese è stato l’arresto dei dirottatori della nave da crociera italiana “Achille Lauro”, avvenuta per mano statunitense dopo che si venne a sapere che i dirottatori avevano ucciso, gettandolo in mare, un cittadino statunitense disabile ebreo che era a bordo della crociera. Dopo la resa del commando di sequestratori, l’aereo che li stava conducendo in Tunisia fu dirottato da quattro aerei militari statunitensi e fatto atterrare nella base NATO di Sigonella, in Sicilia, con l’approvazione dell’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi. Da qui poi ne conseguì una disputa tra Stati Uniti e Italia, nota come “crisi di Sigonella”, relativamente alla giurisdizione che avrebbe dovuto processare i criminali.


Dando uno sguardo al passato, dunque, ci si dovrebbe ora chiedere quali siano gli interessi in gioco nello scenario bielorusso. Confrontando l’atteggiamento europeo rispetto alle posizioni di Stati Uniti e Russia sulla vicenda, non sembra difficile comprendere il gioco di alleanze. L’impressione è che assisteremo presto ad un “Guaidò-bis” in terra bielorussa e, ancora una volta, ciò che costituisce ingerenza negli affari interni di uno Stato verrà propagandato come esportazione della democrazia.

 

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