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Barcellona e Madrid sempre più distanti

Immagine del redattore: Giulia PatriziGiulia Patrizi

Aggiornamento: 26 feb 2021

Il voto catalano conferma l’evidente frattura tra Catalogna e Stato Centrale

Il 14 febbraio i catalani sono stati chiamati alle urne dopo i discutibili fatti verificatisi il 27 ottobre 2017.


Ante factum:

Il 1 ottobre 2017 2,26 milioni di persone - su oltre 5,3 milioni di potenziali elettori - andavano a votare al referendum non riconosciuto da Madrid in cui si chiedeva “Vuoi che la Catalogna diventi uno Stato indipendente sotto forma di Repubblica?”: 2,02 milioni rispondevano affermativamente.


Il 27 ottobre il Parlamento catalano aveva approvato una "legge di transizione giuridica e di fondazione della Repubblica” che avrebbe portato alla dichiarazione d’indipendenza. La proposta era stata approvata dopo uno scrutinio segreto con 70 voti a favore, 10 contrari e 2 schede bianche. Alcuni partiti non indipendentisti, ritenendo il voto illegale, avevano abbandonato la seduta in segno di protesta.


Il primo ministro Mariano Rayoj denunciava la decisione unilaterale del Parlamento catalano definendola illegale. Dopo settimane di ostinato silenzio da parte delle Istituzioni europee, il Presidente della Commissione Ue Jean-Cladue Juncker dava lo stesso responso dichiarando che l’UE non avrebbe riconosciuto il voto del Referendum e che non avrebbe mediato tra le parti.


Rayoj e il ministro della giustizia Rafael Català passavano all’attuazione delle misure previste dall’articolo 155 della Costituzione, che obbliga la Comunità a rispettare le leggi spagnole. La Comunità veniva privata della sua autonomia e commissariata, il Parlamento veniva sciolto e, in accordo con Carles Puigdemont, capo del Parlamento catalano e leader del partito Uniti per la Catalogna, si giunse alla convocazione di nuove elezioni fissate per il 21 dicembre. Inoltre, lo stesso Puigdemont e altri membri del governo catalano rischiavano di dover rispondere del reato di “ribellione”, per il quale in Spagna sono previsti fino a 30 anni di carcere.


Situazione attuale:

Il 14 febbraio 2021, i catalani sono stati chiamati nuovamente alle urne. Su 135 seggi, ERC – Esquerra Repubblicana, lo storico partito indipendentista, conquista 33 seggi; Uniti per la Catalogna (JXCAT) ne ottiene 32 e Candidatura di Unità Popolare (CUP-G) altri 9, assicurando al fronte indipendentista complessivamente 74 seggi (superando la maggioranza assoluta di 68). Il Partito Socialista, grande oppositore di ERC, ne ottiene 33 e, per la prima volta, entra in Parlamento l’estrema destra Vox con 11 seggi.

Un’analisi più approfondita mostra un quadro fortemente omogeneo con un’unica provincia in controtendenza rispetto ai risultati del voto: si tratta di Barcellona, città in cui l’indipendentismo non ha trionfato. L’esito del voto ha una grande valenza di rivalsa politica e sottolinea il malcontento generato dalla linea dura adottata da Madrid. Un dato rilevante è il grande tasso di astensionismo, legato anche alla pandemia da Covid-19 attualmente in corso.


Per evitare assembramenti, i votanti sono stati divisi in fasce orarie e, per garantire il diritto di voto a tutti, è stata dedicata una fascia serale per i positivi al Covid-19 in modo che potessero votare senza costituire un fattore di rischio per gli altri.


Barcellona appare molto diversa rispetto a quattro anni fa: sui balconi sventolano le Estelladas (la bandiera a strisce con la stella simbolo dell’indipendenza) ma anche le bandiere spagnole. Fatto che non accadeva da anni, di grande significato. Come se la città desse nuova forza all’unità nazionale, chiedendo un ritorno alla normalità e la fine della guerra civile che imperversa. In città molti catalani vorrebbero l’indipendenza ma si sono resi conto che per ottenerla il prezzo da pagare è decisamente troppo alto.


Per la Rambla si respira amarezza, rabbia, frustrazione; la città spagnola simbolo del Paese, con i suoi monumenti di Gaudì, la sua Plaza de Toros, la Sagrada Familia, la stessa Rambla divenuta una delle arterie principali più rappresentative della Spagna è proprio quella che meno vorrebbe ricoprire questo ruolo in cui si trova, suo malgrado, a rappresentare lo Stato da cui vorrebbe tanto separarsi.


Da giorni la città è di nuovo sulle prime pagine di tutti i quotidiani spagnoli (locali e nazionali) a causa delle proteste sempre più violente che si susseguono e che hanno valicato i confini regionali per diffondersi in città di altre province come Bilbao (Paesi Baschi), la stessa Madrid, Pamplona e Granada, per citare le principali.


La causa è semplice: il famoso rapper catalano trentaduenne e dichiaratamente separatista Pablo Hasél è stato arrestato nei giorni scorsi, mentre era nell’Università di Lleida dove si era barricato, dal corpo poliziesco catalano Mossos d’Esquadra. Sul suo capo pendono le accuse di ingiurie alla monarchia spagnola e “apologia di terrorismo e giustificazione dei delitti ad esso correlati”. La sofferenza catalana è esplosa. Per le strade si sono riversati fiumi di persone di ogni età ed estrazione sociale per manifestare la loro vicinanza a Hasél, chiederne l’immediata scarcerazione e condannare l’operato violento dei Mossos.


I primi giorni le proteste erano pacifiche. Velocemente hanno preso una deriva violenta e incendiaria. I Mossos hanno reagito arrestando i manifestanti e le proteste si sono diffuse in altre regioni spagnole. Gli imprenditori catalani hanno denunciato il fenomeno alle autorità regionali, sostenendo che, da manifestazioni pacifiche nate a supporto di Hasél, questo si sia trasformato in atti violenti di gratuito vandalismo. Sono state rivolte importanti accuse agli organi di polizia, rimproverati per aver adottato una linea troppo morbida.


La situazione economica catalana non è rosea: la regione è la più ricca e industrializzata di tutto lo Stato e il PIL catalano rappresenta, da solo, il 20% di quello spagnolo. Per l’anno in corso, il suo tasso di crescita è pari a quello nazionale. Per l’anno prossimo, invece, le previsioni di Bbva stimano un PIL al di sotto della media nazionale del 2,1%. Ad ottobre, secondo Benito Arrunada e Albert Satorra, docenti di Organizzazione di impresa e Statistica all’Universitat Pompeu Fabra di Barcellona, i nuovi disoccupati sono stati 14.700, a cui vanno aggiunti quelli registrati a novembre (altri 7.400). Gli esperti affermano che erano almeno dieci anni che non si registravano tali cifre. Il voto catalano non ha portato conferme alle richieste preoccupate degli imprenditori che reclamavano a gran voce stabilità, garanzie circa la fine del conflitto e aiuti economici.


A conferma della situazione di precarietà economica, si aggiungono le stime del ministero dell’Economia spagnolo che segnala un crollo del 75% degli investimenti esteri già nel terzo trimestre dell’anno rispetto allo stesso periodo del 2016.


Secondo i dati ufficiali del Colegio de registradores, le imprese catalane che hanno spostato la sede legale in altre regioni spagnole dal 1° ottobre 2017 (giorno del sopracitato referendum) sono state 3.073: questo ha determinato un impatto negativo diretto sull’economia della regione superiore al 5%, al quale vanno aggiunti i costi indiretti (che interesseranno particolarmente il settore turistico). Se la situazione dovesse mantenersi instabile o se la Catalogna dovesse proseguire sulla linea indipendentista già proclamata, a queste 3.073 se ne aggiungeranno molte altre.

 

Fonti:


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