
Nel lontano maggio 2004, esattamente il primo giorno del mese, l’Unione Europea aveva ufficializzato una decisione politica che aveva dell’incredibile e che non aveva trovato un unanime consenso all’interno delle assemblee unionali. Facciamo riferimento alla decisione di estendere i confini dell’UE verso la frontiera orientale del vecchio continente.
In un solo colpo, Repubblica Ceca, Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Ungheria, Malta, Polonia, Slovenia e Slovacchia sono state aggiunte al consesso europeo segnando l’inizio di una nuova era per Bruxelles (continuata anche dopo, nel 2007, con gli ingressi di Bulgaria e Romania).
Si diceva di come questa decisione non fosse stata pienamente condivisa da parte degli altri Stati membri. La paura più grande degli altri Paesi era principalmente legata alle future difficoltà di instaurare un dialogo con questi Governi nazionali per due ragioni: la prima, di natura politica ed europea, ineriva alla bassa rappresentatività demografica di questi Stati che potevano squilibrare i criteri di votazione nelle assemblee europee. La seconda, di natura politico-istituzionale, riguardava l’assenza in questi Paesi di una lunga e collaudata tradizione democratica. Il tutto, poi, inserito in un contesto unionale nel quale ci si espone costantemente a delle verifiche per monitorare l’adeguatezza delle leggi nazionali nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali.
Col tempo, le distanze tra l’area europea occidentale ed orientale sono costantemente aumentate con duri scontri politici.
In particolar modo, quattro Stati (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia) hanno unito le forze tra loro dando vita ad un’alleanza che li inquadra come Paesi Visegrad e che hanno costantemente fatto ostruzione contro le decisioni politiche europee in materia di crisi umanitaria, gestione dei flussi migratori e accoglienza dei migranti.
Nello specifico, il Premier ungherese Viktor Orban si è eretto a paladino della giustizia del suo popolo contro le angherie dei Paesi europei più forti che in nome della loro superiorità impongono il loro volere e i loro interessi nei palazzi di Bruxelles (forti e continui gli attacchi a Francia e Germania).
Le decisioni dei Parlamenti di Budapest e di Bratislava di chiudere i confini nazionali al fine di evitare l’ingresso dei migranti già stremati per il lungo ed estenuante viaggio lungo la rotta balcanica hanno fatto discutere molto i leaders degli altri Paesi membri che hanno apertamente criticato i due Stati in questione.
Ora, la situazione in materia di rispetto dei diritti sta peggiorando.
Se la chiusura dei confini nazionali è una decisione legittima ma ingiusta rispetto ai criteri legislativi promossi dalle varie convenzioni comunitarie e condivisi da questi Paesi, in Ungheria e in Polonia si sta assistendo a dei fenomeni giuridici a dir poco sconcertanti.
Il Commissario europeo alla Giustizia, Didier Reynders, ha pubblicamente denunciato il fatto che a Budapest è stata sancita la chiusura di una delle ultime radio libere del Paese (Klubradio) per il solo fatto che, come riferito da Andras Arasto, era stata avanzata, in una trasmissione, una critica nell’operato di Orban.
Nonostante le accuse lanciate dai produttori della radio, il tribunale che ha esaminato il ricorso di Klubradio ha confermato la decisione dell’Autorità ungherese che regola i media (NMHH) affermando che la stazione radio ha commesso diverse irregolarità e che potrà partecipare per acquistare ad un’asta pubblica le frequenze radio che verranno bandite.
Le richieste di chiarimenti di Bruxelles hanno trovato una risposta negativa e polemica da parte del portavoce del Premier ungherese, Zoltan Kovacs, che ha accusato l’Unione Europea di voler costantemente inserirsi negli affari della politica nazionale dei Paesi membri scagliandosi contro la vice-presidente UE Vera Jourova.
Sul fronte polacco, a Varsavia, 43 organi di stampa tra siti d’informazione, network televisivi e agenzie hanno lanciato una protesta per denunciare un progetto di legge che li vedrebbe costretti a versare allo Stato dal 2 al 15% dei propri ricavi pubblicitari. Nonostante la volontà di attingere quante più risorse economiche possibili, dato il difficile momento del Paese, l’Ombudsman polacco per i Diritti umani Adam Bodnar ha evidenziato il rischio di un disegno politico volto a colpire e indebolire i media indipendenti.
Attualmente, Ungheria e Polonia occupano rispettivamente l’89esimo e il 62esimo posto di una particolare classifica che misura il grado di rispetto e garanzia dei diritti fondamentali. Il costante rifiuto di umanità verso chi soffre e il soffocamento di un diritto imprescindibile come la libertà di parola devono scuotere la coscienza dell’intera Unione Europea.
Bisognerebbe ricordare, una volta per tutte, ai Governi ungherese e polacco che far parte dell’Unione non significa soltanto ricevere finanziamenti, ma anche rispettare delle regole fondamentali che garantiscano libertà e uguaglianza a tutti, cittadini o stranieri.
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