
I primi mesi della nuova amministrazione Biden alla Casa Bianca non sono stati semplici e tranquilli come era facilmente e ampiamente preventivabile. Nonostante tutto, la politica interna, con la questione contagi e vaccini, si è mostrata meno complicata nella gestione rispetto a quella estera dove il neo Presidente, spinto dal desiderio di cancellare le tracce del suo predecessore, ha avviato un corso politico differente e deciso.
Se i rapporti con la Russia stanno vivendo una fase molto complicata, quasi da “guerra fredda”, quelli con un altro storico avversario, la Cina, si stanno caratterizzando per una sempre più evidente e viscerale difficoltà di dialogo.
Il summit tenuto dalle delegazioni diplomatiche dei due Paesi in Alaska ha dimostrato quanto i rapporti tra Washington e Pechino vivano una fase molto delicata, ma a peggiorare la situazione ci sono le recenti sanzioni economiche che sono state comminate al Governo cinese.
A dividere, in maniera molto forte i due Stati, è la questione degli Uiguri. I reports realizzati dal Five Eyes, con la preziosa collaborazione dei servizi segreti giapponesi, hanno permesso di comprendere la reale portata di quello che merita di essere definito come genocidio.
Dopo le numerose sanzioni economiche comminate a Mosca, Biden ha riservato il medesimo trattamento anche nei confronti di Pechino nel tentativo di scalfire la decisa presa di posizione cinese che ha affermato di non volere alcuna interferenza internazionale inerente a questioni socio-politiche intestine.
Accanto a questa specifica dinamica politica, gli Stati Uniti hanno anche rivitalizzato la propria vicinanza politica e valoriale all’Unione Europea a tal punto da chiedere ed ottenere il suo sostegno nella “battaglia” economica inaugurata contro Pechino.
Bruxelles, che ha sempre sperato nel riavvicinamento di Washington e in suo maggiore coinvolgimento politico internazionale, ha assecondato la volontà americana e ha deciso di infliggere suddette sanzioni. Una decisione particolare e anche storica dato che le prime e ultime sanzioni economiche che l’Europa rivolse contro la Cina risalgono al lontano 1989, dopo i famosi e tristi fatti di piazza Tienanmen.
La posizione europea, nonostante il pressing di Washington, non può certo definirsi casuale. Come dimostrato dalle dichiarazioni di alcuni portavoce, l’Unione Europea ha sempre dimostrato una grande attenzione e sensibilità sul dramma degli Uiguri. Infatti, nel momento della stesura del “Comprehensive Agreement on Investment”, un’intesa di principio finalizzata a facilitare le relazioni commerciali tra aziende europee e cinesi per un maggior accesso nel mercato di Pechino, era presente un chiaro ed esplicito riferimento alla situazione dello Xinjiang. Con la firma dell’accordo, Pechino si impegnava a non ad eliminare il lavoro forzato.
Ad oggi, questo accordo non è stato ancora firmato e, di conseguenza, non è nemmeno entrato in vigore. La Cina valuta questa intesa contraria alle sue leggi, l’UE non vuole fare passi indietro sul monitoraggio e sulla difesa della situazione uigura.
Questa sensibilità è stata ulteriormente rafforzata dalla condivisione delle sanzioni anche dal Regno Unito e, per la prima volta, dal Canada.
Per chi ha memoria storica, le sanzioni economiche sono lo strumento privilegiato per intervenire in situazioni diplomatiche e negoziali difficili e si è sempre sentito parlare di sanzioni che, partendo dagli USA o dall’UE, seguivano particolari percorsi noti (tra i più percorsi quelli che portano a Cina, Iran, Russia, Siria e altri).
Stavolta, però, ciò che ha sorpreso, e molto, è stata la risposta cinese.
Pechino ha deciso di rispondere alle misure europee comminando, a sua volta, delle sanzioni che, se da una parte costituiscono una risposta prevedibile, dall’altra non erano preventivabili nella loro gravità. Infatti, la Cina ha deciso di adottare delle misure molto più stringenti rispetto a quelle europee prevedendo l’inserimento in una lista di indesiderati diversi funzionari europei, sanzioni contro singoli e specifici organi dell’Unione, membri di think tank tedeschi presenti in Cina e il congelamento dei fondi economici di questi soggetti e dei loro familiari.
La volontà di Pechino, nonostante i soggetti sanzionati siano stati accusati di diffondere bugie e di propagandare disinformazione, è quella di scandire, attraverso queste misure, i punti di una guerra economica contro il mondo. Nonostante il cambio alla presidenza, gli Stati Uniti hanno deciso di confermare i dazi contro la Cina e stanno accerchiando quest’ultima attraverso un sistema di accordi e alleanze con tutti i Paesi della fascia asiatica e pacifica limitrofi a Pechino.
La presenza di Washington apre ad un altro capitolo dell’eterna sfida sino-americana che riguarda la battaglia ai semiconduttori. La loro ricerca e la corsa ad accaparrarsene in quantità sempre maggiore è data dalla loro grande rilevanza nei processi economico-industriali.
Al netto di queste situazioni, sembra che queste dure schermaglie siano solamente le prime di uno scontro multilaterale che farà ancora parlare di sé a lungo.
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